Caro direttore,
quanto sta accadendo in Afghanistan ci interpella su un duplice livello: il dramma umanitario che si abbatte su una popolazione provata da oltre quarant’anni di guerre e la necessità di una politica estera che chiama in causa il ruolo dei singoli Paesi e quello delle organizzazioni sovranazionali. La scelta degli Usa, di Trump e poi di Biden, di un disimpegno unilaterale, ma accettato senza troppe obiezioni dal resto della coalizione internazionale, pare essere stata dettata dalla ricerca di consenso verso l’opinione pubblica interna e rivela una macroscopica incapacità di comprensione della realtà. Che non era e non è quella di un Afghanistan in grado di garantirsi da solo stabilità e sicurezza.
Lo sforzo occidentale di costituire istituzioni autonome e democratiche, come l’impegno di addestramento di forze armate locali è, certo, stato considerevole, per fondi spesi e vittime (più di 2.300 vittime fra i soldati americani, 53 fra quelli italiani). Come è possibile che non sia servito ad animare un’adeguata resistenza alla riconquista taleban? Perché quella che doveva essere una 'missione di pace' si sta risolvendo in un 'disastro' politico (anche per Biden), che fa evocare una nuova Saigon? Notizie e immagini che arrivano da Kabul sono l’esito di un processo lungo e complesso che traccia il profilo di un fallimento della politica americana ed europea non solo nei riguardi dell’Afghanistan.
La crisi tunisina e quella libica, la crisi permanente nell’area israelo-palestinese e il deteriorarsi politico del Libano, la tragedia siriana e il protagonismo muscolare della Turchia e della Russia nel Mediterraneo, l’Iraq e le difficili relazioni con l’Iran, i nodi profondi nel rapporto con la monarchia saudita e con molti Paesi della penisola araba. Tutto questo fa parte di un complesso intreccio di vicende nelle quali si inserisce il dissolversi dello Stato afghano nato sotto la protezione delle democrazie occidentali, voluto a immagine e somiglianza dei nostri sistemi, a dimostrazione di una incapacità di capire quelle realtà ed entrare in un rapporto maturo con esse. In questo quadro, possiamo accettare che la preoccupazione della comunità internazionale sia rivolta principalmente all’evacuazione del personale diplomatico e del personale afghano che ha lavorato con gli occidentali?
La crisi da affrontare è ben più vasta: i 250mila profughi in un Paese che già conta 4 milioni fra rifugiati e sfollati richiamano il dovere di soccorrere quella che si presenta come una nuova emergenza umanitaria e politica, in cui donne e minori sono i più esposti. La comunità internazionale non può lasciare Kabul a morire da sola, nel violento ritorno alla più rigida sharia. L’Italia deve saper fare la sua parte, e l’Europa deve essere capace di farsi capofila di una politica estera regionale.
Va convocata d’urgenza una sessione straordinaria del Parlamento Europeo alla presenza dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione e un Consiglio straordinario dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione. Serve, con urgenza, una chiara e specifica linea politica della Ue per quelle regioni dello scacchiere internazionale. Il modo in cui l’amministrazione Trump e poi quella Biden hanno gestito il dossier afghano dimostrano che si è verificato un mutamento profondo nella percezione che gli Usa hanno di sé e del proprio interesse nazionale. Serve, perciò, una politica estera europea matura e capace di assumersi la responsabilità di un attivo ruolo di pacificazione, stabilizzazione e sviluppo nelle aree critiche del mondo. E occorre per questo un’immediata assunzione di responsabilità politica. A pochi giorni dai 20 anni dall’attacco alle Torri Gemelle la strategia della guerra preventiva si è dimostrata fallimentare. Abdicare a una politica estera nel Mediterraneo, in medio Oriente e in Asia centrale lo sarebbe ancora di più.
Anche perché i taleban non possono aver fatto tutto da soli, e sulla scena si affacciano l’influenza della Cina e risvegliate ambizioni della Russia. Riconoscere il nostro fallimento politico in Afghanistan non deve significare, nel clima di metà agosto, l’abdicazione a un impegno politico e morale per la difesa dei diritti umani. La prima risposta deve essere per il soccorso alla popolazione afghana in emergenza umanitaria e nel garantire una politica di accoglienza dei profughi. Inoltre, si dovrà perseguire una politica di cooperazione come un fondamentale presidio di umanità, per non lasciare solo il popolo afghano.
Presidente di argomenti 2000