In un mondo multipolare con alleanze a geometria variabile, il G7 e i Brics in formazione allargata sono stati dipinti come poli opposti e alternativi dei nuovi equilibri mondiali a venire. Domani a Rio de Janeiro gli “schieramenti” si sciolgono e ricompongono nel gruppo dei G20, forum nato in un’altra era – il 1999 – per affrontare la crisi economica asiatica e oggi trasformatosi in una sede di incontro tra Paesi con obiettivi molto diversi e poco inclini a collaborare oltre le formali dichiarazioni conclusive. Prevale lo scetticismo sulla concretezza delle decisioni che potranno essere assunte nella due giorni preparata meticolosamente dal presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, sebbene i partecipanti arrivino con un’agenda particolarmente ricca e significativa. L’hanno siglata all’Onu lo scorso 25 settembre i ministri degli Esteri in preparazione dell’incontro dei capi di Stato e di governo. La “Call to Action on Global Governance Reform” ha l’ambizione di introdurre impegni per la riforma e la modernizzazione dei principali organismi internazionali, a partire dall’Onu e dall’Organizzazione Mondiale del Commercio.
E ancora, la revisione delle quote di prestito al Fondo Monetario Internazionale, di fare passi avanti nel dibattito sul debito estero dei Paesi a basso reddito e sulla tassazione dei grandi patrimoni. «Lavoriamo insieme perché le istituzioni multilaterali sono screditate. La nostra capacità di risposta è ostacolata, in particolare, dalla mancanza di rappresentanza nelle organizzazioni internazionali. Il Sud globale deve essere incluso pienamente nei principali forum decisionali», ha detto Lula, presidente di turno del G20, che rappresenta i due terzi del commercio e della popolazione mondiale e l’80% del Pil globale.
In particolare, si vorrebbe rafforzare il ruolo dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, per riequilibrare i poteri rispetto al Consiglio di Sicurezza, di cui si mira ad ampliare la composizione. Ma la misura che più ha fatto discutere, e forse ha anche distratto da riforme strutturali più sostanziali, è quella del prelievo sui super-ricchi. Ideato dall’economista francese Gabriel Zucman (allievo di Thomas Piketty), il piano introdurrebbe un’imposta aggiuntiva annuale del 2% sul patrimonio netto totale (non solo il reddito, quindi) delle persone fisiche. Secondo le stime di Zucman, lo 0,01% della popolazione con maggiore ricchezza paga un’aliquota fiscale effettiva di appena lo 0,3%. In questo modo si potrebbero raccogliere fino a circa 240 miliardi di euro l’anno da quasi 2.800 miliardari. Fondi da impiegare per interventi contro fame, povertà e cambiamento climatico. Proprio dalla Cop 29 di Baku arriva l’appello a una ideale staffetta nel contrasto al deterioramento ambientale che, però, difficilmente verrà ascoltato. Mentre la tassazione sui patrimoni promossa da Brasile e Francia è fortemente contrastata da Stati Uniti e Germania, altre divisioni percorrono il gruppo dei 20 (più Unione Africana), e l’ombra della prossima Amministrazione Trump ostile a drastiche limitazioni per i combustibili fossili, fa gioco a tutti gli Stati che non vogliono accelerare su questo versante. Fare qualche passo avanti su un mutato assetto dell’Onu potrebbe essere il grande contributo del G20, che ha la struttura adatta (numero congruo di membri e alta rappresentatività) per promuovere tale processo. Non sembra, tuttavia, che così accadrà. Pertanto, da una Rio blindata dopo l’attentato compiuto a Brasilia da un simpatizzante dell’ex leader Bolsonaro, sarà soprattutto interessante osservare i movimenti politici innescati dalla fine della presidenza Biden e dalle annunciate mosse del tycoon repubblicano che ne prenderà il posto alla Casa Bianca. Il sentimento dominante è quello dell’attesa per le decisioni diplomatiche (sulle guerre in Ucraina e Medio Oriente) ed economiche (la possibile svolta protezionistica contro Cina ed Europa) degli Stati Uniti, che metterebbero in stallo i progetti di riforma degli organismi internazionali e, per la conseguente politica isolazionista Usa, aumenterebbero le turbolenze globali. D’altra parte, Trump si dipinge come pacificatore capace di instaurare dialoghi privilegiati con diversi interlocutori, compreso Vladimir Putin. Questa incertezza dominerà quindi il vertice, con tentativi di riposizionamento in previsione degli sviluppi attesi su diversi scenari internazionali. Sarebbe utile che in questo quadro l’Europa si ritagliasse un ruolo propositivo, avendo al summit anche la nostra premier quale presidente in carica del G7. Tuttavia, la spaccatura nella maggioranza a sostegno della nascente Commissione Von der Leyen-bis mette la Ue in una posizione di debolezza e scarsa incisività. Ne esce un quadro frammentato, specchio di un disordine che non solo alimenta conflitti ma dimentica pure le urgenze dello sviluppo che ancora manca in tanti Paesi e del Pianeta che, dagli incendi in Canada all’alluvione di Valencia, lancia allarmanti segnali sempre più frequenti.