Ci sono date che per le vicende, gli interrogativi o i valori evocati fanno inevitabilmente parte della coscienza e della memoria del nostro Paese. Di tutti, e non di una sola parte. Si può essere tentati di farle oggetto di rimozione, se non di oblìo, per il timore di riaprire ferite e diatribe che le attraversarono. Ma una comunità non cresce accantonando quel che la può dividere e comunque la interroga: deve sapersi confrontare sul proprio calendario e su quanto le date più fortemente simboliche rendono attuale a ogni loro ricorrere. Deve imparare a farlo con raziocinio e con libertà, senza elusioni e senza censure, nel rispetto per gli altri e per ciò che realmente accadde e accade. Per questo va considerato con attenzione il coraggio mostrato da chi, nel governo, ascoltando richieste "dal basso", ha saputo decidere che ogni anno il 9 febbraio – quando nel 2009 morì Eluana Englaro – si celebri la Giornata degli stati vegetativi. C’è invece una nuova e più vasta consapevolezza della testimonianza civile resa da alcune migliaia di famiglie italiane alle quali è doveroso guardare con interesse affettuoso e grato, perché interamente dedite a un loro caro imprigionato nella condizione che la medicina ufficiale definisce ancora sbrigativamente «vegetativa». E c’è da far conoscere una scienza appassionata dell’uomo che sta esplorando con successo quella condizione, spingendosi a parlare di stati «di minima coscienza». Detto altrimenti, dietro quella porta solo apparentemente chiusa spesso c’è una presenza, una voce, uno stato di vita diverso da quelli che conosciamo.È spesa bene una Giornata che invita tutti a chinarsi su questo solo se gira al largo da riti senz’anima come anche da silenzi imbarazzati ed evasivi. Non ha senso mettere una pietra sopra il 9 febbraio allo scopo di evitare polemiche e comizi, come se fosse una data (e un fatto) che è meglio dimenticare per amor di pace, quasi non fossimo abbastanza maturi. Un Paese eternamente bambino, che di tutto può parlare tranne che delle frontiere della vita, perché lì si rischia di litigare, e perché a parlare ci pensano i pochi che sanno e decidono, i nuovi oligarchi della verità coi loro gruppi di pressione e i loro media (e mediatori) amici. E allora diciamolo con chiarezza: le intenzioni possono anche essere le migliori del mondo, ma invitare a cancellare proprio "quel" giorno dal calendario di tutti per consegnarlo, magari, al calendario di qualcuno significherebbe lasciare l’opinione pubblica in balìa della retorica, di ben noti teoremi liquidatori, di una neutralità sull’etica pubblica che è solo di facciata e che, in realtà, lascia campo aperto ai fautori della cosiddetta «libertà di scelta». Ovvero gli stessi che in questi giorni gridano alla profanazione del 9 febbraio a opera, manco a dirlo, di presunti «pasdaran clericali».Non è accettabile l’equiparazione un po’ furbetta delle ragioni di costoro agli argomenti di chi propone di ascoltare storie di persone e di famiglie e di saperne di più dai medici. Gente che di tutto ha voglia tranne che di polemiche, e che desidera solo una giornata emblematica – capace di dire tanto a tutti – in cui gli italiani ascoltino, capiscano e riflettano, ma soprattutto facciano sentire importanti e come abbracciate voci e ricerche altrimenti dimenticate.Chi ha chiesto e pensato il nuovo appuntamento nazionale sugli stati vegetativi – anzitutto alcune associazioni di famiglie con pazienti gravemente disabili, dalle quali è partita l’iniziativa – l’ha immaginato possibile e sensato in una sola collocazione, l’unica realmente significativa. Fissarla in un qualsiasi altro giorno l’avrebbe relegata ancor prima dell’esordio alla retorica dell’atto dovuto. Così, invece, il 9 di febbraio non resterà solo l’anniversario della morte di Eluana: per tutto il Paese sarà l’invito a tornare alle grandi domande e alle questioni nevralgiche sulle quali fu spinto a interrogarsi poco meno di due anni fa, quando la vicenda della giovane di Lecco volse inesorabilmente verso il suo drammatico epilogo. Sarà un tempo per ascoltare davvero il dolore, la fatica e la speranza. Oltre ogni individualismo.