Il premier Mario Draghi (S) con il presidente francese Emmannuel Macron a Marsiglia, 2 settembre 2021 - ANSA/ FILIPPO ATTILI PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Secondo un’idea diffusa, sono ciclicamente tentati di snobbare gli italici palazzi del potere e la classe dirigente nostrana. Anche per questo, ascoltando le dichiarazioni o leggendo i titoli di quest’autunno dei politici e media francesi, qualche osservatore italiano potrebbe persino cadere dalla sedia. Ultimo caso, quello del Figaro, quotidiano conservatore di riferimento, sensibile a una certa concezione fiera delle prerogative francesi in Europa e nel mondo. Un giornale in passato non sempre tenero verso il nostro Paese e le sue qualità di leadership continentale.
Ma i tempi sembrano cambiati, dato che adesso, per il Figaro, l’unità Ue malconcia deve far appello all’intesa Parigi-Roma: «Un nuovo asse forte con Macron per rilanciare l’Europa», titolava il quotidiano nei giorni scorsi, in un approfondimento su 3 pagine dedicato alla «rivoluzione Draghi» e al modo in cui «ha ridato lustro durevole al blasone italiano». Fra il presidente Emmanuel Macron e il premier Mario Draghi, «l’intesa è perfetta», si può leggere, anche perché «condividono un centrismo liberale pragmatico, al di là dei partiti». Un approccio, questo, che potrebbe essere meno nel Dna della "coalizione semaforo" che si profila in Germania. Da parte sua, il quotidiano francese delle sfere economiche, "Les Echos", ha pubblicato un’ampia analisi intitolata: «Come l’Italia ha ritrovato il "gusto dell’avvenire" con Mario Draghi».
L’interesse o persino l’ammirazione per i vertici italiani avanzano pure nella classe politica francese, più disposta che mai a citare il Bel Paese come termine positivo di paragone. Si pensi alle lodi del guardasigilli Éric Dupond-Moretti verso la collega italiana Marta Cartabia, sullo sfondo della svolta di Parigi nello spinoso nodo degli ex terroristi italiani degli Anni di piombo a lungo protetti in Francia: un simbolo forte, nell’insieme, della ritrovata cooperazione fra Roma e Parigi. Anche nei corridoi della diplomazia italiana in Francia, si cita la svolta volentieri, rispetto alle burrasche bilaterali pre-pandemia. Non a caso, dopo un prolungato stallo, sarebbe in dirittura d’arrivo la preparazione del Trattato del Quirinale proposto da Macron a Roma proprio per "codificare" ed esaltare le potenzialità dell’asse italo-francese, sul modello del Trattato dell’Eliseo fra Parigi e Berlino.
Ma a cosa è legato il ritrovato potere di seduzione dell’Italia agli occhi di Parigi? Di certo conta la stima reciproca fra i leader al timone. Basti pensare ai frequenti e approfonditi scambi fra Draghi e Macron. O all’accoglienza quasi trionfale riservata al presidente Sergio Mattarella nella sua ultima visita di Stato a Parigi. Senza dimenticare le non rare attestazioni di stima in Francia verso il leader di partito uscito vincitore dalle ultime Amministrative in Italia, Enrico Letta, che proprio a Parigi è rimasto fino allo scorso inverno alla testa della Scuola d’Affari internazionali di Sciences Po, università semi-pubblica inclusa fra le prime fucine della classe dirigente transalpina.
Un altro fattore chiave riguarda il nuovo scenario diplomatico continentale. Dopo lo choc della Brexit, un fossato si è aperto fra Parigi e Londra, giunte persino ai ferri corti sui due dossier spinosi delle concessioni di pesca ai battelli francesi e dei tentativi quotidiani di traversata della Manica da parte dei migranti che sognano d’approdare in Gran Bretagna. Ma anche le relazioni fra le sponde del Reno non vivono una fase semplice, con l’uscita di scena di Angela Merkel e tutte le incognite del nuovo corso al varo a Berlino. Per la Francia, in cerca d’alleati di peso in vista dei progetti di riforma istituzionale europea proposti da Macron, una luna di miele con Roma diventa un’opzione desiderabile. In proposito, un interrogativo resta in sospeso: si tratta solo d’un avvicinamento "strategico" motivato dai progetti francocentrici europei di Parigi, ad esempio sul fronte della Difesa? Difficile rispondere, tanto le dinamiche e i moventi d’ogni "coppia" possono mutare in fretta.
Ma nel caso italo-francese, è sintomatica pure l’insistenza odierna di non pochi intellettuali e osservatori transalpini sul collante di fondo delle affinità culturali. Insomma, il redivivo tema delle «sorelle latine»: un’espressione che continua ad aver corso oltralpe per riassumere il legame speciale, sul piano storico e degli scambi demografici, culturali e religiosi, fra i due maggiori Paesi europei di matrice latina. Così, c’è pure chi si domanda se l’accavallarsi di crisi in quest’inizio di XXI secolo (pandemia, sfide ecologiche, instabilità finanziaria ed energetica) non finirà per ridar fiato ai "legami di famiglia" profondi fra certe nazioni, magari a lungo eclissati da calcoli geopolitici di corto respiro. Fra i versanti delle Alpi, a sostegno di quest’ipotesi, vi è pure il mai rinnegato (dal 1956) gemellaggio esclusivo fra le due capitali, all’insegna del motto altisonante: «Solo Parigi è degna di Roma e solo Roma è degna di Parigi».
Saggista e noto opinionista di lungo corso sulle questioni europee per "Radio France", José Manuel Lamarque ci espone la questione in questi termini: «Pur non riconoscendolo sempre, Italia e Francia si sono storicamente influenzate enormemente, anche se oggi manca ancora un asse economico all’altezza di questa tradizione. La coppia franco-tedesca è stata un po’ romanzata dai francesi, dato che la Germania parla invece di "partenariato". Si tratta di un asse utile, soprattutto nella scia tragica della Seconda guerra mondiale. Ma l’asse Parigi-Roma ha molte carte in regola per diventare la più bella alleanza in Europa, per ridare fiducia nel futuro del Continente».
Anche per il geografo e saggista Jean-Robert Pitte, già rettore della Sorbona e oggi segretario perpetuo dell’Accademia delle Scienze morali e politiche, il legame può fare ancora molta strada: «L’alleanza italo-francese – ci dice – è una necessità per rifondare ciò che definirei una bella Europa della responsabilità gioiosa. La coppia franco-tedesca ha funzionato, ma i tedeschi non sono mai riusciti a convincere i francesi ad essere seri sul piano economico, su conti pubblici, debito, fiscalità, apprendistati, occupazione giovanile. Occorre sperare adesso in una rinascita della saggezza nel Sud dell’Europa». Ma in proposito, avverte Pitte, occorrerà pure non ricadere nei vecchi errori, come certe derive dell’assistenzialismo, «un pericolo mortale che può condurre all’anarchia e alla povertà».