Caro direttore,
approfitto della sua cortesia e dell’attenzione che 'Avvenire' ha dedicato alla spiacevole vicenda intimidatoria indirizzata alla mia persona per esternare alcune considerazioni ed emozioni vissute in questi non facili momenti. Intanto, mi consenta di ringraziare dal profondo del cuore coloro che, in tutti i modi, mi hanno fatto sentire solidarietà e vicinanza. Sono davvero tanti, vescovi calabresi e non solo e confratelli sacerdoti, in primis don Luigi Ciotti, e poi associazioni, esponenti politici, semplici cittadini. Ho avvertito l’esigenza di scriverle dopo la Celebrazione eucaristica di domenica 14 marzo perché, al termine, sono stato avvicinato da un pescatore di questa terra che nel stringermi con vigore la mano, mi ha ringraziato con queste parole: «Ora ho capito perché lo fai.
Lo fai per noi e per i nostri figli, perché possano avere un futuro migliore». Non le nascondo che queste parole mi hanno fatto piacere più di tutte, mi scuseranno gli altri. Sono gesti e parole profuse da chi, come tanti in Calabria, sa di poter contare solo sulle proprie forze. Di chi altra speranza non ha, se non quella che in inverno si plachi la furia del mare, per poter calare nuovamente la rete e sperare in una pesca fruttuosa, che si possa vendere senza imposizioni del boss di turno. Cetraro da circa quarant’anni fa i conti con Francesco Muto alias il 're del pesce', per ora assicurato alle patrie galere assieme ai suoi sodali, nel mentre è in corso il processo 'Frontiera'. La maggior parte dei calabresi onesti, giovani e meno giovani, può contare solo sulla propria capacità di non mollare mai.
Nonostante prevaricazione, logica dell’appartenenza a scapito della competenza, sub-cultura del degrado e dell’assuefazione al degrado, racket e usura, omertà, corruzione e altri mali diventati quasi endemici non solo nella terra di Calabria, purtroppo. C’è poi un altro male che rischia anch’esso di disorientare: il mito dell’eroe di turno. Tante volte in passato e anche oggi mi capita di essere indicato come 'prete antimafia' oppure 'prete sociale' e altre più o meno simili fuorvianti 'etichette'. Il vescovo Nunzio Galantino, durante l’incontro con i familiari delle vittime innocenti delle mafie nel marzo scorso a Locri, ha ben chiarito che «gli uomini e le donne di Chiesa che si impegnano in questo fronte lo fanno perché credono al Vangelo, lo fanno per far sentire la vicinanza e il sostegno a quanti come voi sentono il peso insopportabile della sofferenza provocata dalla prepotenza e dall’arroganza di uomini che, voglio ricordarlo, proprio qui in Calabria papa Francesco ha detto essere scomunicati». Dunque, nessuna diversità che ci fa essere 'preti speciali'. Sebbene Libera sia un’Associazione aconfessionale e apartitica, noi sacerdoti che vi operiamo, benché eletti dalle assemblee regionali o provinciali, riceviamo un mandato da parte del vescovo, quindi della Chiesa. Questo sono in molti a dimenticarlo, purtroppo.
Quando ciò accade ecco il mito dell’eroe di turno sempre in agguato. Sono tantissimi i confratelli che operano nel silenzio del servizio pastorale in contesti spesso difficili e isolati, che non hanno certo, né la cercano, l’attenzione delle cronache. Ma semplicemente una grande passione per questo splendido lembo terra e per gli uomini e le donne che la abitano. È il Vangelo ad accendere in tutti i credenti, e in modo speciale in noi sacerdoti e consacrati, tale passione per l’uomo. Siamo consapevoli che il bene vince sempre, a volte perdendo, perché non è disposto a cedere alle logiche del male. Ma vince! Infintamente grazie a tutti.
*Sacerdote, coordinatore di 'Libera' in Calabria