venerdì 9 marzo 2012
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Nei giorni in cui in molti trepida­no per la sorte di Rossella Urru, finalmente uscita dal limbo degli o­staggi italiani pressoché dimenticati, arriva, improvvisa, la notizia dell’ucci­sione in Nigeria di Franco Lamolinara, ingegnere vercellese, assassinato dai rapitori durante un blitz delle forze spe­ciali nigeriane e britanniche, che ten­tavano di liberare, con lui, il collega Ch­ris McManus. Il dolore per la tragica morte del nostro connazionale e la do­lente solidarietà alla famiglia, che da mesi e mesi viveva nell’angoscia, non possono fare velo ad altre amare con­siderazioni. Innanzitutto, in moltissimi ieri sera a­vranno esclamato: «C’era un italiano rapito in Nigeria da quasi un anno? Non se ne parlava mai». E così qualcu­no, sempre ieri, avrà scoperto che altri nostri concittadini sono nelle mani di guerriglieri e pirati in Africa come in A­sia. Non tutti i media sono distratti, cer­to, né tutte le istituzioni, che spesso la­vorano in doveroso silenzio. Rimane però un senso di scarsa sensibilità o di intermittente (e persino selettiva) mo­bilitazione, che andrebbe scacciato. C’è poi il contesto: la Nigeria, gigante d’Africa, dove la violenza settaria, et­nica e religiosa è piaga aperta, con i cri­stiani spesso vittime, senza che il pro­blema ottenga i primi posti nelle a­gende di informazione e politica, se non in occasioni come questa, nella quale agiscono gli stragisti fondamen­talisti di Boko Haram. Infine, ma non ultima, la questione del ritardo con cui l’Italia è stata informa­ta del blitz, un atto grave cui il governo ha prontamente risposto, ma che la­scia aperto il quesito sul nostro reale peso internazionale, anche alla luce della vicenda dei marò arrestati in In­dia. Eppure siamo generosamente im­pegnati in tutte le principali crisi, in si­tuazioni dove il confine tra pace e guer­ra è più che labile. Perché questi im­meritati insulti? E fino a quando?
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