In una storia ormai nota si racconta di un cammelliere che lasciò alla sua morte un testamento per dividere i suoi beni tra i tre figli. Il cammelliere aveva 11 cammelli e nel suo lascito testamentario stabilì di assegnare metà dei suoi beni al primo figlio, un quarto al secondo figlio e un sesto al terzo figlio. Quando giunse il momento di dividere l’eredità iniziarono i problemi. La metà di undici cammelli fa cinque cammelli e mezzo. Il primogenito pretendeva di “arrotondare” il lascito paterno esigendo il sesto cammello. Gli altri fratelli si opponevano sostenendo che era già stato troppo privilegiato dalla volontà del padre. Inizio così un aspro conflitto tra di loro.
Un giorno un cammelliere molto meno ricco si trovò a passare da quelle parti e, vedendo i tre figli litigare, decise di donare il suo unico cammello per aggiungerlo al monte ereditario. Grazie a questo aiuto adesso fu possibile accontentare le pretese dei tre eredi. Al primo andarono 6 cammelli (la metà di 12), al secondo 3 cammelli (un quarto di 12) e al terzo 2 cammelli (un sesto di 12). Nessuno dei fratelli eccepì perché nessuno di loro stava pretendendo più del dovuto nella nuova situazione. Il totale adesso faceva esattamente undici cammelli. Il donatore di passaggio poté così riprendersi il dodicesimo cammello.
La storia è molto ricca e si presta a diverse interpretazioni. Nel momento in cui torna la tensione sui mercati per le nuove difficoltà in Spagna e Grecia, mi piace sottolineare quella della fertilità del dono che non lascia chi lo compie con meno di ciò che ha abbandonato. La gratuità ha “dividendi” molto elevati, più alti e duraturi di quelli di molti investimenti economici. Il dono, oltre ad avere la capacità di produrre benevolenza, e quindi di costruire relazioni più ricche, ha anche una sua fertilità economica e sociale favorendo la cooperazione e risolvendo controversie in un mondo nel quale senza cooperazione e fiducia reciproca è impossibile risolvere i dilemmi sociali che viviamo tutti i giorni.
Questa storia sembra calzare a perfezione per descrivere la situazione della crisi dell’euro, dove ancora si alzano muri contro gli strumenti di condivisione del debito, o si ricorda a chi è in difficoltà che «ci sono ancora molti compiti da fare a casa». I Paesi membri dell’Eurozona, chiusi nella loro lettura dei fatti litigano sulla ripartizione dei costi dell’aggiustamento della crisi. Difficile trovare la quadra restando nella prospettiva utilitarista dell’autointeresse miope, nel quale ciascuno pretende di fare solamente quanto ritiene gli spetti secondo la sua personale versione dei fatti. Drammatico, grottesco e controproducente per gli stessi creditori ostinarsi nel far pagare col bilancino le colpe della crisi a Paesi come la Grecia ormai spolpati fino all’osso, incapaci di far ripartire in queste condizioni la propria economia e costretti a svendere le proprie isole.
La storia dei cammelli ci aiuta a pensare in modo diverso alla crisi dell’euro. Chi porterà il dodicesimo cammello? Il dodicesimo cammello potrebbe essere la decisione degli Stati membri di mutualizzare alcune risorse per dare munizioni allo scudo anti spread (ma deve necessariamente essere anche un piano di rilancio a molto più lungo periodo per la Grecia). E anche in questo caso i “donatori” potrebbero trovarsi dopo con più di quello che hanno donato (in molte crisi passate gli interventi istituzionali contro la speculazione hanno reso guadagni in conto capitale). Oltre allo scudo ci sono tanti altri modi di “donare il dodicesimo cammello” producendo i benefici della mutualità, dagli eurobond alla proposta originale e recente secondo la quale i Paesi beneficiati dallo spread con rendimenti molto favorevoli sui titoli di Stato emessi potrebbero retrocedere volontariamente parte di questi benefici ai Paesi in difficoltà.
Di fronte a queste idee molti ricordano che il problema non è solo di mancanza di solidarietà ma anche di mancanza di responsabilità. Per questo esistono le regole di condizionalità che non devono però essere costruite per strangolare i Paesi già in difficoltà. E i Paesi forti non devono mai dimenticare che la loro stessa storia è testimonianza della maledizione della giustizia commutativa (quella fatta col bilancino) e dei benefici della giustizia benevolente. Alla fine della prima guerra mondiale i tedeschi rimasero vittime del primo tipo di giustizia e l’onere dei debiti di guerra che fu posto loro sulle spalle fu così pesante da spingerli verso l’iperinflazione della repubblica di Weimar e poi il nazismo. Alla fine della seconda guerra mondiale la giustizia commutativa si trasformò in giustizia benevolente e, invece di calcolare il costo esatto in termini economici delle responsabilità tedesche, varò il piano Marshall che rimise in piedi il Paese e lo conquistò per sempre allo schieramento delle democrazie occidentali.
Chi, se non i tedeschi, può comprendere la differenza tra giustizia benevolente e giustizia commutativa?