giovedì 27 settembre 2012
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In una storia ormai nota si racconta di un cammelliere che lasciò alla sua morte un testamento per dividere i suoi beni tra i tre figli. Il cammelliere aveva 11 cammelli e nel suo lascito testamenta­rio stabilì di assegnare metà dei suoi be­ni al primo figlio, un quarto al secondo figlio e un sesto al terzo figlio. Quando giunse il momento di dividere l’eredità iniziarono i problemi. La metà di undi­ci cammelli fa cinque cammelli e mez­zo. Il primogenito pretendeva di “arro­tondare” il lascito paterno esigendo il se­sto cammello. Gli altri fratelli si oppo­nevano sostenendo che era già stato troppo privilegiato dalla volontà del pa­dre. Inizio così un aspro conflitto tra di loro. Un giorno un cammelliere molto meno ricco si trovò a passare da quelle parti e, vedendo i tre figli litigare, decise di do­nare il suo unico cammello per aggiun­gerlo al monte ereditario. Grazie a que­sto aiuto adesso fu possibile acconten­tare le pretese dei tre eredi. Al primo an­darono 6 cammelli (la metà di 12), al se­condo 3 cammelli (un quarto di 12) e al terzo 2 cammelli (un sesto di 12). Nes­suno dei fratelli eccepì perché nessuno di loro stava pretendendo più del dovu­to nella nuova situazione. Il totale ades­so faceva esattamente undici cammelli. Il donatore di passaggio poté così ri­prendersi il dodicesimo cammello. La storia è molto ricca e si presta a diverse interpretazioni. Nel momento in cui tor­na la tensione sui mercati per le nuove difficoltà in Spagna e Grecia, mi piace sottolineare quella della fertilità del do­no che non lascia chi lo compie con me­no di ciò che ha abbandonato. La gra­tuità ha “dividendi” molto elevati, più al­ti e duraturi di quelli di molti investi­menti economici. Il dono, oltre ad ave­re la capacità di produrre benevolenza, e quindi di costruire relazioni più ricche, ha anche una sua fertilità economica e sociale favorendo la cooperazione e ri­solvendo controversie in un mondo nel quale senza cooperazione e fiducia reci­proca è impossibile risolvere i dilemmi sociali che viviamo tutti i giorni. Questa storia sembra calzare a perfezio­ne per descrivere la situazione della cri­si dell’euro, dove ancora si alzano muri contro gli strumenti di condivisione del debito, o si ricorda a chi è in difficoltà che «ci sono ancora molti compiti da fa­re a casa». I Paesi membri dell’Eurozo­na, chiusi nella loro lettura dei fatti liti­gano sulla ripartizione dei costi dell’ag­giustamento della crisi. Difficile trovare la quadra restando nella prospettiva u­tilitarista dell’autointeresse miope, nel quale ciascuno pretende di fare sola­mente quanto ritiene gli spetti secondo la sua personale versione dei fatti. Dram­matico, grottesco e controproducente per gli stessi creditori ostinarsi nel far pa­gare col bilancino le colpe della crisi a Paesi come la Grecia ormai spolpati fi­no all’osso, incapaci di far ripartire in queste condizioni la propria economia e costretti a svendere le proprie isole. La storia dei cammelli ci aiuta a pensa­re in modo diverso alla crisi dell’euro. Chi porterà il dodicesimo cammello? Il dodicesimo cammello potrebbe essere la decisione degli Stati membri di mutua­lizzare alcune risorse per dare munizio­ni allo scudo anti spread (ma deve ne­cessariamente essere anche un piano di rilancio a molto più lungo periodo per la Grecia). E anche in questo caso i “dona­tori” potrebbero trovarsi dopo con più di quello che hanno donato (in molte crisi passate gli interventi istituzionali con­tro la speculazione hanno reso guada­gni in conto capitale). Oltre allo scudo ci sono tanti altri modi di “donare il dodi­cesimo cammello” producendo i bene­fici della mutualità, dagli eurobond alla proposta originale e recente secondo la quale i Paesi beneficiati dallo spread con rendimenti molto favorevoli sui titoli di Stato emessi potrebbero retrocedere vo­lontariamente parte di questi benefici ai Paesi in difficoltà. Di fronte a queste idee molti ricordano che il problema non è solo di mancanza di solidarietà ma anche di mancanza di responsabilità. Per questo esistono le regole di condizionalità che non devono però essere costruite per strangolare i Paesi già in difficoltà. E i Paesi forti non devono mai dimenticare che la loro stessa storia è testimonianza della maledizione della giustizia commutativa (quella fatta col bilancino) e dei benefici della giustizia benevolente. Alla fine della prima guerra mondiale i tedeschi rimasero vittime del primo tipo di giustizia e l’onere dei debiti di guerra che fu posto loro sulle spalle fu così pesante da spingerli verso l’iperinflazione della repubblica di Weimar e poi il nazismo. Alla fine della seconda guerra mondiale la giustizia commutativa si trasformò in giustizia benevolente e, invece di calcolare il costo esatto in termini economici delle responsabilità tedesche, varò il piano Marshall che rimise in piedi il Paese e lo conquistò per sempre allo schieramento delle democrazie occidentali. Chi, se non i tedeschi, può comprendere la differenza tra giustizia benevolente e giustizia commutativa?
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