Sempre più fecondazione in vitro, l'altra faccia dell'ital-gelo
sabato 6 luglio 2019

Le uniche nascite in aumento in Italia sono quelle da fecondazione in vitro: questo ci dice l’ultima relazione al Parlamento sulla legge 40, pubblicata negli stessi giorni in cui l’Istat certifica il tragico scivolamento italiano dall’inverno alla glaciazione demografica. Nel 2017 hanno avuto accesso alla procreazione assistita 78.366 coppie, in aumento rispetto all’anno precedente, così come i cicli di trattamento e i bambini nati: quasi 14.000, corrispondenti al 3% di tutte le nascite.

Il modo in cui la nostra società sta cambiando, l’atteggiamento di fronte alla maternità e genitorialità emerge anche da questa relazione ricca di dati interessanti e di analisi che meritano approfondimenti specifici, ma che contribuisce innanzitutto a delineare il quadro dei cambiamenti sociali e antropologici. Aumenta il numero dei nati in provetta, quindi, ma non solo: l’età media delle donne che accede ai trattamenti è diversa se si considera la fecondazione omologa, cioè con gameti della coppia, o l’eterologa, cioè con gameti esterni. Con l’omologa l’età è pari a 36,7 anni, due anni in più rispetto alla media europea, mentre nell’eterologa femminile (con i gameti femminili procurati esternamente), si sale a 42,4. Come detto anche nella relazione, un dato coerente con un’infertilità fisiologica (dovuta all’età della donna) più che patologica (conseguenza di malattie).

È quindi confermato che le italiane cercano di avere figli in età sempre più avanzata rispetto a quella in cui la fertilità è massima, con conseguenti, maggiori problemi ad avere gravidanze: problemi che diventano ostacoli enormi se ci si accorge troppo tardi di patologie che hanno compromesso la propria fecondità, talvolta irrimediabilmente. Precarietà nel lavoro, insicurezza economica, mancanza di sostegni efficaci, stabili e certi alle famiglie con figli: sicuramente tutto questa conta molto nel gelo demografico che avanza. Ma con onestà intellettuale va riconosciuto che la denatalità riguarda tutto il continente europeo, i cui Paesi, specie quelli occidentali, sono fra i più ricchi e con i migliori servizi sanitari e sociali del pianeta: il fattore culturale quindi pesa, e non poco.

La scissione fra procreazione e sessualità ottenuta con la contraccezione chimica - sesso senza figli - e con la fecondazione in vitro - figli senza sesso - ha contribuito a diminuire l’età del primo rapporto sessuale e aumentare quella in cui si cerca il primo figlio, con il risultato per cui la gran parte delle donne vive il periodo di massima fertilità nel tentativo di evitare gravidanze, cercandole invece quando è sempre più difficile averne. Ci si affida quindi sempre più spesso alla tecnica, sopravvalutandola e illudendosi dolorosamente.

I dati, purtroppo, parlano chiaro: per le procedure in vitro "a fresco" (in cui non si congelano gameti e/o embrioni) e "omologhe", il "successo" negli anni è diminuito. Erano il 20,9% le gravidanze per ciclo nel 2010, scese al 17.6% nel 2017. Per questo si cercano altre strade: l’aumento dei nati nel 2017 grazie alla provetta è dovuto in gran parte ai bambini nati da eterologa, di cui un centinaio con doppia eterologa, cioè con gameti sia maschili sia femminili esterni alla coppia. E il maggior successo si è avuto con cicli di congelamento/scongelamento di gameti e, soprattutto, di embrioni. Il quadro complessivo si complica se si considerano anche i test genetici preimpianto, cioè le analisi genetiche di embrioni, su cui molto ci sarebbe da dire, a partire dall’assenza di una legge nazionale a regolare il settore, nonostante le precise indicazioni della Corte costituzionale a riguardo.

In sintesi, sempre più coppie ricorrono alla procreazione in vitro, con percorsi sempre più tardivi, complessi e manipolatori dal punto di vista tecnico, ognuno dei quali apre a interrogativi che vanno ben oltre le problematiche sanitarie: genitori anziani, un numero crescente di figli spesso nati da eterologa e dunque all’oscuro delle proprie origini e dell’identità degli stessi genitori biologici (quindi con fratelli o sorelle sconosciuti e a rischio di inconsapevole incesto), decine di migliaia di embrioni umani immersi in azoto liquido a tempo indeterminato. Ma soprattutto la procreazione è sempre più l’esito di un percorso tecnicamente articolato e sofisticato, con il “successo” inevitabilmente misurato dal “figlio sano in braccio”… Siamo sicuri che sia questo il modo migliore per uscire dal gelo demografico e, soprattutto, valorizzare maternità e paternità?

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