venerdì 5 dicembre 2008
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La Banca Centrale Europea ha ridotto drasticamente il tasso di sconto. Dal 3,25 al 2,50, sulla falsariga di quel che sta avvenendo nel mondo. Col danaro "meno caro" s’intendono favorire ripresa degli investimenti e produzione. Contenendo i costi del credito si punta a mantenere stabili i prezzi, o addirittura ribassarli, con un rilancio dei consumi.Siamo, per generalizzata ammissione dopo mesi e mesi di ipocrisie, in piena fase recessiva. Le aziende, indebitate sino al collo (pensiamo a quelle edili, automobilistiche, delle telecomunicazioni), rinviano i piani di investimento, licenziano. Gli Stati sono obbligati a soccorrere le banche, impigliate nella rete del credito immobiliare facile (mutui subprime); e le banche a loro volta hanno stretto i cordoni."Recessione" è termine dai contorni funesti. Ha il sapore amaro di un riflusso delle speranze e dei livelli di vita, generando sconcerto e diffidenza. Milioni di risparmiatori ingannati dalla Borsa, dai fondi di investimento, si leccano le ferite. Financo grandi speculatori (e ve ne sono anche in Italia) che avevano costruito imperi finanziari sono nei guai. Nessuno o quasi avendo ritenuto possibile una recessione ormai malauguratamente paragonabile a quella degli anni Trenta dello scorso secolo. Lo prova il tracollo del petrolio. Da 149 a meno di 50 dollari il barile, nonostante fino a pochi mesi fa i banchieri prestassero miliardi a coloro che scommettevano arrivasse a 250. Gli stessi produttori (dal Golfo Persico alla Russia, dalla Nigeria al Venezuela) sono in grave difficoltà. Per l’Europa, un vecchio continente che si era illuso di sfuggire al contagio, basterà la sforbiciata al tasso di sconto? Troppo facile, troppo bello; e perché non lo si è fatto prima? In realtà, il tasso di sconto (uno dei tanti "tassi" in circolazione nell’oscura galassia del monetarismo finanziario), è il costo che una banca paga per ottenere soldi freschi dalla Banca Centrale. Il suo livello ha però un’immediata ricaduta sull’intero commercio del danaro. Esempio pratico, che ci tocca da vicino. Lo Stato riduce le cedole su Bot e Cct, le banche sui depositi delle clientela, facendo pagare (speriamo) un po’ meno gli "indebitati". A fare bene i conti il "taglio" è più punitivo che miracoloso per l’immensa categoria dei risparmiatori, se nel contempo non si azzererà l’inflazione. Altrimenti, punendo la propensione al risparmio, verrà inaridita la sorgente primaria che alimenta il sistema bancario. Per sopperire alla richiesta di finanziamenti, le banche dovrebbero emettere obbligazioni, ma chi le sottoscriverà? E se lo Stato (pensiamo all’Italia), ha da intervenire come "salvatore finale", chi correrà a comprare titoli dal rendimento irrisorio? Sullo scenario della finanzia e dell’economia mondiale regna un’enorme confusione. Su diagnosi e ricette. Spesso fingendo di dimenticare che sono state le stagioni del danaro facile, delle follie borsistiche, dei ludi consumistici, a precipitarci in questa situazione.Nelle ultime ore abbiamo udito parole forti e preoccupate sul debito pubblico italiano, fra i tre maggiori del pianeta, dai ministri Sacconi e Tremonti. Forse alcune improvvide parole (un riferimento all’Argentina), subito "precisate", sono state fraintese. Tuttavia, innanzi alle ansie vieppiù diffuse nel popolo dei risparmiatori, senza la cui fiducia non si va da nessuna parte, è più che mai urgente la chiarezza assoluta. Il pretendere che con un’aspirina (il taglio dei tassi) si possa curare un malato grave, sarebbe follia.
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