Fra i problemi che sono stati a lungo accantonati a causa della pandemia vi è anche quello – di importante rilevanza per il 'mondo cattolico', e non solo per esso – delle forme di presenza dei cattolici in ambito politico: a partire dalla consapevolezza (non da tutti, peraltro, acquisita) che i problemi della società nella quale si vive non possono rimanere estranei a credenti che abbiano piena consapevolezza della loro appartenenza alla società degli uomini. L’attuale scenario della politica italiana è caratterizzato, per quanto riguarda i cattolici, da una accentuata dispersione: essi sono, a un tempo, 'dappertutto' (non vi è partito o movimento che manchi della presenza di cattolici), ma anche 'da nessuna parte'.
E ciò non solo e non tanto per il venir meno di un esplicito riferimento ai valori evangelici e, specificatamente, alla Dottrina sociale della Chiesa – come era avvenuto negli anni tanto del Partito Popolare quanto della Democrazia Cristiana –, ma anche soprattutto per la inevitabile marginalità di molte di queste presenze.
Sino all’esplosione della pandemia, questa ricerca di unità – al di là delle inevitabili differenze che caratterizzano ogni formazione politica, nessuna esclusa – era perseguita per vie molto diverse e talora contrapposte: vi era, infatti, chi aspirava la fondazione di un nuovo partito di esplicite ispirazione cattolica; chi teorizzava la necessaria pluralità delle scelte e nello stesso tempo invocava forme di coordinamento di incontro fra i cattolici, indipendentemente dal 'luogo' partitico della loro presenza; chi si rassegnava, o addirittura esplicitamente teorizzava che fosse priva di senso la ricerca di un 'luogo' specifico dei cattolici, essendosi aperto, dopo le innovazioni conciliari, il vasto mondo delle libere e responsabili opzioni di carattere personale, del tutto prescindendo – in nome della legittima autonomia dei credenti in campi opinabili – da specifiche appartenenze. Per circa un anno e mezzo questo insieme di problemi – inevitabilmente, stante la pandemia – è stato accantonato.
Ma ora, passata la bufera (a quanto sembra), essi si ripropongono in vista delle non lontane elezioni politiche previste alla scadenza della primavera del 2023, anno non troppo lontano e al quale appare necessario prepararsi, innanzitutto facendo, da parte dei cattolici, chiarezza al proprio interno. La comunità cristiana in quanto tale – e, più specificatamente, la Chiesa italiana nell’esercizio della sua missione spirituale – è rimasta sinora, fondamentalmente, in una posizione di attesa (o forse di disimpegno). E tuttavia mette conto di domandarsi se l’attuale situazione, di accentuata e talora quasi selvaggia, diaspora, sia proprio quella ottimale. Molti inviti al rassemblement sono stati fatti in passato, né sono mancati i tentativi, anche con l’impegno di autorevoli personalità, di chiamare a raccolta, e di mettere a confronto fra loro, sia quanti, da credenti, militano in diversi partiti, sia chi vorrebbe cercare se possibile trovare nuove forme di presenza e di impegno.
Quello che non appare opportuno consentire, tuttavia, è che non venga messo all’ordine del giorno della comunità cristiana che è in Italia il problema della presenza politica dei cattolici in quanto tali: non perché essi non siano una sorta di 'oasi' nella quale rifugiarsi ma in vista della necessità – chiaramente avvertita dal Concilio Vaticano II – di essere attivamente presenti nella storia per dare il proprio efficace contributo alla vita della Città degli uomini. La situazione attuale dei credenti che sono in Italia è soddisfacente, cosicché tutto debba continuare come prima, od occorre un 'cambio di passo'? È questo l’interrogativo che ormai si impone e che dovrebbe consentire un pacato e sereno confronto fra quanti intendono esprimere la loro fede anche nel campo della politica. In caso contrario si corre rischio di essere sempre altrove, cioè da nessuna parte.