Caro direttore,
chissà se Bellocchio nel suo film avrà dato il giusto rilievo alle eroiche suorine che curarono amorevolmente Eluana. Quanto a me, non lo saprò mai, perché sono brutto e cattivo e non ho nessuna intenzione di vedere il film. Buon lavoro.
Giovanni De Marchi, Milano
No, caro dottor De Marchi, nel film di Marco Bellocchio non c’è il giusto rilievo per le Suore Misericordine. Ci sono alcune delle loro parole (sullo sfondo di una scena, dentro una tv accesa) e nessuno, proprio nessuno dei loro gesti fedeli e gratuiti di cura e di amore per Eluana Englaro. Niente, neppure un accenno. D’altra parte quei gesti – nel giorno per giorno di una persona che era disabile e non malata terminale – non sono stati ignorati per caso: sono la prova della menzogna che aleggia su tutto il film come era aleggiata su tutta la campagna sviluppata per portare a morte la giovane donna in stato vegetativo persistente, e cioè che Eluana fosse tenuta in vita da macchine. Non c’era alcuna macchina che tenesse in vita Eluana. Non c’erano spine da staccare. C’erano le suore, le stesse che anni prima l’avevano vista nascere in quello stessa casa di cura lecchese. C’erano i fisioterapisti che la accudivano. C’era la carrozzella con cui usciva dalla sua stanza quando il tempo era buono. C’erano il cibo e l’acqua che le venivano somministrati. Eluana è morta perché le sono stati tolti: cibo, acqua e gesti di cura e d’amore. Un film non poteva restituirli a Eluana, ma poteva restituirli a chi non sa o è stato male informato. Per aiutare a vedere e a capire. A volte i film riescono a farlo. Non era questo il programma di Bellocchio. E si vede. Anche in quel che ha deciso di non far vedere.