Una questione di sguardo. Il modo in cui guardiamo l’altro, bisognoso, per strada; oppure non lo guardiamo affatto, distogliendo gli occhi, concentrandoci più intensamente sul cellulare che abbiamo in mano. È qualcosa che possiamo osservare tutti i giorni. È vero, i mendicanti sono tanti, non si può fermarsi per ciascuno. Eppure che impressione fa, davanti ai caffè all’aperto al mare, gremiti di gente che beve l’aperitivo e sorride, veder passare uno di quei poveretti con un cartello in mano, "ho due figli", e nessuno o quasi che levi lo sguardo. Veder passare, a sera, un venditore di povere rose, e nessuno o quasi che almeno ne cerchi gli occhi, a scorgerne lo smarrimento. Siamo sempre stati così, noi italiani? Chi era bambino negli anni 60 si ricorda un’altra Italia, che almeno si voltava verso il mendicante su un marciapiede, che goffamente tirava fuori da tasca una moneta – quasi con l’imbarazzo di non sapere fare altro.
Il Papa nella omelia di Santa Marta di martedì scorso, 17 settembre, è tornato sul tema della «compassione», che gli è caro. La compassione, dice, è il linguaggio di Dio. Vangelo di Luca, il passo della vedova di Nain. Quando, entrato nella città, Gesù si imbatte nel funerale di un bambino. C’è tanta gente, ma Gesù fissa lo sguardo sulla vedova che ha perso l’unico suo figlio.
Cristo, ha sottolineato Francesco, «"Fu preso dalla compassione", come se l’evangelista dicesse: "Fu una vittima della compassione"». La com-passione, la capacità di patire con l’altro, pare qui come una forza, un dono, un vento buono che trascina. Qualcosa di più grande degli uomini: il linguaggio di Dio. «La compassione - ha aggiunto ancora il Papa - ti fa vedere le realtà come sono; la compassione è come la lente del cuore».
Allora pensi ai senzatetto che la sera s’accampano con i loro cartoni nel centro di Milano, abbracciati a un cane, e alla folla che passa accanto, discutendo del film appena visto; ti immagini lo sfilare delle scarpe, all’altezza degli occhi di quei poveracci. C’è chi getta una moneta; ma è raro che qualcuno si fermi a guardarli in faccia, quelle facce spesso devastate dalla miseria, dall’alcol, dalla malattia mentale. Si direbbe quasi che abbiamo paura, di guardare gli occhi di un povero. E forse è così: se gli occhi di due uomini si incontrano si accende il principio di un rapporto, e sguardi così profondamente feriti non possono non interrogarci. Magari verrebbe voglia di fermarci, di salutare, di domandare: come ti chiami? Come sei finito qui? Ma, quasi tutti, acceleriamo il passo. Temendo, se ci fermiamo, forse di dovere "fare" qualcosa. Di restituire, dice il Papa, una giustizia negata.
Una questione di sguardo. Si può almeno mostrare di vederlo quel mendicante, dirgli "buongiorno", o domandargli se vuole un panino. Qualcuno, pochi, lo fanno. Soprattutto persone anziane, con un’altra memoria, un’altra compassione ereditata. Ma tanti passano come se la sagoma sul marciapiede fosse invisibile, o un sacco di rifiuti. Ancora il Papa, nell’Angelus del 14 luglio scorso: «Se tu vai per la strada e vedi un senzatetto sdraiato lì e passi senza guardarlo o pensi: "Ma, effetto del vino. È un ubriaco", domandati non se quell’uomo è ubriaco, domandati se il tuo cuore non si è irrigidito, se il tuo cuore non è diventato ghiaccio».
Dove lo sguardo sul povero diventa metro di misura per noi. Francesco: «Essere capaci di avere compassione: questa è la chiave. Questa è la nostra chiave. Se tu davanti a una persona bisognosa non senti compassione, se il tuo cuore non si commuove, vuol dire che qualcosa non va. Stai attento, stiamo attenti. (...) La capacità di compassione è diventata la pietra di paragone del cristiano, anzi dell’insegnamento di Gesù».
Pietra di paragone, in tempi di insofferenza e rifiuto dei poveri e degli stranieri, guardati come invasori. Pietra di paragone di ciò che siamo diventati: se un moto di rabbia trattenuta ci dice automaticamente, davanti a un uomo con la mano tesa, che è un impostore o un ubriacone, guarda - dice Francesco - «che qualcosa forse non va». Non va in noi. Quell’incontro, è anche un’occasione per prenderci le misure del cuore. I nostri occhi che si voltano infastiditi altrove ci dicono a che punto è il nostro cuore. Almeno affrontarle, quelle facce, riconoscendole di uomini come noi. Almeno lasciarcene interrogare. Un amico tornato da un Paese africano ci ha raccontato delle frotte di bambini poveri che circondano gli hotel dei turisti. E come diventi un’abitudine regalare ogni mattina dolci, e monete. Poi un giorno con la mano il nostro amico ha sfiorato le mani di questi bambini, e con stupore le ha sentite dure, la pelle ruvida. Calli: su mani che strappano le verdure alla terra, o frugano nelle discariche, o impastano mattoni. Calli sulle mani dei bambini, che cosa assurda per noi. Semplicemente in una carezza, un lucido istante di comprensione, e compassione.