Le sei di sera di un lunedì di settembre a Milano. Fa ancora caldo, ma lungo i viali si vanno accumulando masse di tremule foglie secche. Esci dalla redazione. Strada che sai a memoria, e che sei abituata, da quasi due anni, a trovare semivuota. Ma, attorno a via Farini, d’improvviso il traffico si gonfia, nelle vie strette dell’Isola. Sarà per i lavori attorno al Cimitero Monumentale, pensi. Sarebbe, in verità, anche l’ora di uscita dagli uffici. Ma da tempo in molti uffici non si entra, si lavora in streaming, piazze e caffè se ne stanno malinconicamente abbandonati.
Eppure, che va succedendo? Il traffico sembra impazzito. Stenti a capire: le scuole ancora non sono iniziate. Allora cos’è questa marea di auto incolonnate, e taxi, come una volta, con i clienti a bordo, e tram che faticano a farsi strada? All’imbocco del ponte di via Farini ritrovi, per la prima volta da mesi, la calca di lamiera costretta a incolonnarsi, da due vie, in un imbuto. È la battaglia di via Farini alle diciotto, constati, sbalordita: come prima del Covid. Allora ti viene in mente che è il primo giorno di Salone del mobile e di Milano Design Week, evento che richiamava decine di migliaia di operatori, anche dall’estero. Saltata ad aprile, la fiera dell’eccellenza del design italiano oggi è tornata.
Lo vedi, anche stando lontano dal centro: è un improvviso torrente di visitatori nelle strade. Ed è, sì, l’ingorgo, e l’impazienza, e lo sguardo all’orologio: siamo, tutti, maledettamente in ritardo. È ,di nuovo, quell’avanzare a passo d’uomo, e contendersi ogni singolo metro, e lottare per inserirti nella colonna giusta. Con fermezza respingere i furbi che cercano di superare a destra, lanciandosi occhiatacce dai finestrini, reprimendo qualche mala parola. Sembra di nuovo Milano. Sussulti, e quasi ti commuovi: perché non te lo aspettavi affatto, dopo mesi di strade vuote, ma questa sera Milano pare tornata. E noi, al volante, fermi, increduli ma quasi, sotto sotto, contenti.
Sugli ingorghi frementi si alzano pochi clacson, e nemmeno il tramviere scampanella, meravigliato com’è: ma guarda, sembra proprio Milano. Dalla radio senti di 30 mila visitatori solo il primo giorno, e pensi alle parole del presidente Mattarella, all’inaugurazione: «Occasione di straordinario significato per il Paese». E sì, lo percepisci attorno a Brera, alla Fiera, o al Cordusio: come stare in un cuore il cui il sangue torni a fluire. Lo ricordi bene, l’impietrito infarto del lockdown. L’innaturale silenzio spaccato da urli di sirene, le strade, a sera, buie, le insegne spente.
E come ci voltavamo all’eco dolorosa di ogni ambulanza: un altro, ci dicevamo sbalorditi, che va. E in centro, ad aprile 2020, una sera quella via Manzoni deserta, le vetrine del lusso splendenti e nessuno a guardarle, e in Galleria, incredibile, sentire il rumore dei tuoi passi, perché non c’era nessuno. Era diventato facile, girare per Milano, facile trovare un parcheggio. Ma quella quiete, quanto immalinconiva. Sembrava una malata, la metropoli, pallida e trasfigurata. Perché Milano è fatta per vivere forte, per andare di fretta, per districarcisi dentro come in una giungla di cui sai i segreti: e spii l’avvicinarsi all’auto di uno sconosciuto che sale, mette in moto, ecco! Un parcheggio, e piombi lì come un falco.
Milano era così, grinta dura ma poi un barista sorridente, un taxista simpatico, un brontolio in dialetto degli ultimi imbronciati nativi. Milano era folla, corsa, stress, voglia di fare. Da due anni quasi, non era più la stessa. Ed ecco questa sera – non è finita certo, il Covid c’è, e se ne muore ancora – nel fremere dei motori, nel traffico inchiodato, ti pare di ritrovarla com’era. Quel caos, quell’urgenza nelle vene. Quella città insopportabile. Quella meravigliosa Milano. (Sembra di vedere l’istante cui una locomotiva potente, a lungo immobile, si rimette in moto).