Il bene pubblico per eccellenza è diventato anche nel Bel Paese un bene scarso. Undici anni dopo il referendum sull’acqua, non c’è rappresentazione più plastica del fallimento della politica di quanto sta accadendo nell’estate della grande siccità (non solo) italiana. Nel 2011, la nostra società civile ottenne un doppio risultato: si mobilitò e riuscì a raggiungere il quorum in una consultazione referendaria (è stata l’ultima volta) e soprattutto indicò al legislatore la strada della gestione pubblica del servizio idrico come via maestra. Fu il segnale anticipatore di quella che poi è diventata la stagione della riscoperta, purtroppo non da parte di tutti, dei cosiddetti 'beni comuni': ci sono tesori da difendere, dentro una comunità, che hanno un valore inestimabile. Perché sono indivisibili e, come tali, di tutti. Da settimane, invece, stiamo assistendo a un surreale spettacolo fatto di tanti attori non protagonisti che lasciano il pubblico in sala senza parole.
Non c’è un regista, una trama, figurarsi un copione da seguire. Si recita a soggetto, verrebbe da dire. La scena è la seguente: le categorie produttive, dall’agricoltura all’industria, lanciano reiterati allarmi sulla carenza cronica d’acqua, aggravata dalla mancanza di piogge e dalle temperature in ascesa. In diverse parti d’Italia, le autorità di bacino fotografano la situazione, spiegando come evolverà e cosa prudenzialmente occorrerebbe fare. A questo punto, salgono sul palcoscenico governatori e sindaci, lesti nel chiedere lo stato d’emergenza per dare un segnale alla popolazione.
È allora che il negoziato politico sale di intensità, fino a coinvolgere parlamentari, ministri e Protezione civile. Fin qui, non ci sarebbe alcun colpo di scena, a patto di trovare però una soluzione. Che puntualmente non si trova. Sotto accusa, come scriviamo da tempo su queste pagine, è la frammentazione dei poteri, è la mancanza di una regia in grado di coordinare, dall’alto e dal basso, esigenze spesso contrapposte. La sensazione è che lungo questa china stia vincendo un inedito 'sovranismo idrico', dove chi detiene l’acqua se la tiene per sé e si guarda bene dal condividerla con solidale ragionevolezza e in modo razionale. Troppo alto è il 'rischio' di perdere un bene prezioso, per condividerlo con chi è nel bisogno.
Meglio tirare dritto e far finta di nulla, soprattutto se le richieste d’aiuto arrivano da un vicino ingombrante. Attenzione, però: in scena c’è un conflitto all’italiana (scomodare la parola 'guerra' sarebbe troppo) dove in gioco ci sono anche i risarcimenti danni per 'calamità' da dimostrare, i conflitti di interesse tra società ed enti territoriali, i legittimi obiettivi politici dei vari soggetti. Quel che è mancato, finora, è un governo dei flussi straordinario, in grado di gestire la fase attuale di profonda siccità e insieme fenomeni improvvisi come le bombe d’acqua. In un momento storico dominato da eventi estremi, la cornice degli interventi concreti dovrebbe essere contenuta in un Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico di ampio respiro e con linee guida precise. Si eviterebbe di andare in ordine sparso e ciascun soggetto, centrale e territoriale, saprebbe che cosa fare. Il problema non è locale, perché le eccezioni virtuose sul territorio ci sono già. Il problema è nazionale e la sua risoluzione rimanda a un’intesa politica, tra i Ministeri competenti e le Regioni.
Non serve una grande opera, ma tante piccole opere cantierabili e realizzabili in poco tempo. Come ha ricordato nei giorni scorsi il ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili guidato da Enrico Giovannini, le priorità restano quelle di rafforzare invasi e dighe, ridurre le perdite e digitalizzare la rete. Occorre mettere da parte la burocrazia, che ferma troppi progetti possibili. Prendete la nostra rete di distribuzione: ogni 100 litri messi in circolo, circa 42 vanno persi e non arrivano ai rubinetti delle case. Non solo: i nostri consumi sono tra i più alti d’Europa: circa 120-150 metri cubi in media per ogni famiglia in un anno. Ecco perché il bene pubblico per eccellenza è diventato bene scarso. Troppi sprechi, troppe inefficienze, troppo poca pianificazione. È l’ora di una svolta, che per una volta metta al centro il bene di tutti.