Con risoluta rapidità il presidente Sergio Mattarella ha reagito alla sventurata crisi di governo convocando inusuali elezioni settembrine. Date le gravi crisi internazionali, il rispetto del Pnrr e gli equilibri dei conti, non si poteva tirare a campare. Dopo la tellurica fase di assestamento per definire coalizioni, programmi e candidati, la campagna è già entrata nel vivo. I sondaggisti avvisano che tutto è incerto, enorme è la fascia degli indecisi.
A causa della legge elettorale maggioritaria, divenuta una camicia di forza rispetto al pluralismo politico esistente, si schierano poli un po’ accomodati per la bisogna: quello 'conservatore' con Fdi primo partito annunciato a cui si contrappongono quello 'progressista' guidato dal Pd e il 'centro riformista' dei corsari Renzi-Calenda. Il M5s tenta ancora una volta la cavalcata solitaria cercando di forzare i blocchi. Il vento populista che aveva gonfiato le vele di Lega e grillini sembra aver perso forza. Non è facile votare per appartenenza ideale. In questo contesto credo sia opportuno considerare che – conservatori e progressisti – sono due convenzioni politiche che culturalmente non sono consolidate nella storia italiana e a cui bisogna cercare di dare un senso per quanto possibile. In ognuno di noi c’è un conservatore e un progressista perché i cambiamenti passano attraverso le nostre vite.
Ogni persona ha un vissuto fatto di eredità, tradizioni, esperienze, valori e abitudini (non sempre buone) che si confrontano con i cambiamenti oggi incessanti. Globalizzazione economica, migrazioni, sviluppi tecno-scientifici, guerre e altro stressano le capacità valutative. Non è facile tenere la cadenza delle trasformazioni in corso e fare sintesi, il passo umano è più lento e il rischio è sempre quello quindi di cedere al pifferaio di turno. Interpellato sulla crisi italiana papa Francesco ha risposto con una parola: «Responsabilità». Sì, occorre che chi ambisce alla guida del Paese offra contenuti responsabili agli elettori.
Non minestroni riscaldati. Perché vincere è rilevante ma soprattutto è necessario essere in grado di governare, e governare utilmente per la vita della gente. Il che porta alla domanda essenziale che va oltre le scelte di partito: chi tra i contendenti è in grado di assicurare un governo capace e credibile dopo Draghi ? Non possiamo vanificare la ripresa economica in corso e la ritrovata credibilità internazionale conseguita, dobbiamo irrobustirle. In questo contesto, torna inoltre anche un confronto-scontro tra i cattolici diversamente schierati.
Posto, ma non assodato, che tutti i cristiani dovrebbero essere sale e non veleno, costruttori di ponti e non di muri, è probabilmente opportuno richiamare un’altra capacità necessaria, cioè lo spirito critico da esercitare ove si abita politicamente e non solo verso gli altri. Serve la volontà di non omologarsi, se si vuole essere credibili e aprire nuove vie. Costruttivi sì, conformi no. In particolare oggi pare che due siano i rischi da evitare: il teopopulismo da un lato e la generica fluidità valoriale dall’altra. Ovvero la riproposizione strumentale identitaria nazionalista di Dio-patria-famiglia contrapposta alla neutralizzazione valoriale in una società individualista disancorata da certezze di senso e chiusa al trascendente.
Secondo il cardinal Ravasi è l’apateismo (ovvero l’indifferenza) la cifra dominante del nostro tempo che ha sostituito l’ateismo. Due estremi derivanti dalla crisi antropologica definita di post umanesimo. Occorre quindi aiutare la politica a uscire da un orizzonte breve e chiuso e a ritrovare un modello di sviluppo sociale, ambientale e soprattutto umano.