venerdì 21 marzo 2025
Le tante analogie dei casi Pelicot e Le Scouarnec, tra violenze ai danni di familiari e di minori, sollevano interrogativi sull’origine di tanto orrore nelle culla dei diritti umani
Una raffigurazione del processo Pelicot

Una raffigurazione del processo Pelicot - ANSA

COMMENTA E CONDIVIDI

Avignone, 92mila abitanti, capoluogo del dipartimento della Valchiusa, nel Midi provenzale francese. Vannes, 54mila anime, principale città del Morbihan, nella ventosa Bretagna proiettata sull’Atlantico. A prima vista, capoluoghi transalpini di provincia fra loro diversissimi, per tradizioni e condizioni ambientali. Ma negli ultimi mesi, per la stampa francese e internazionale, accorsa in massa nelle due cittadine, si tratta dei teatri di altrettanti processi emblematici capaci di scuotere la coscienza collettiva: l’affaire Pelicot e l’affaire Le Scouarnec. Due storie di abusi seriali così sordide, sconcertanti ed estese negli anni da apparire a prima vista quasi inverosimili. Come se fossero uscite dalla penna di sceneggiatori dediti un po’ ad alzare il gomito.

Il primo profilo criminale è quello di Dominique Pelicot, classe 1952, pensionato che, nella scia di precedenti crimini, ha drogato per un decennio la moglie per darla in pasto a decine di sconosciuti raggiunti via Internet. Un criminale condannato, lo scorso 19 dicembre, a 20 anni di reclusione, proprio mentre il mondo intero salutava lo straordinario coraggio dimostrato dall’ex moglie Gisèle, divenuta un simbolo della lotta contro le violenze di genere. L’altra storia chiama invece in causa Joël Le Scouarnec, nato nel 1950, medico chirurgo che, lungo gran parte della carriera condotta nell’Ovest transalpino, ha violentato circa 300 pazienti, quasi sempre minorenni. Il processo è ancora in corso, l’imputato giovedì ha ammesso la propria totale colpevolezza. Un caso, quest’ultimo, già qualificato da molti come il più fosco processo di questo tipo mai visto in Francia.

Si tratta di due traiettorie criminali senza precedenti nella giurisprudenza. Eppure, come hanno già sottolineato diversi osservatori, colpiscono pure certi tratti comuni. Innanzitutto, l’omertà e l’impunità di cui i due individui hanno goduto per decenni. Inoltre, il fatto che nei due casi si sia parlato di “dottor Jekyll e mister Hyde”, tanto si trattava di personaggi che godevano ufficialmente di una buona reputazione sociale e familiare. In comune, pure il fatto di aver sistematicamente filmato (Pelicot), o minuziosamente descritto in un diario (Le Scouarnec), le rispettive parabole criminali, all’insegna del più cupo narcisismo. Altra somiglianza: quella generazionale, trattandosi di due individui del cosidetto baby-boom, entrati nell’età adulta all’incirca al momento dello spartiacque simbolico del 1968. La stessa generazione definita da sempre, dai sociologi e da altri studiosi francesi, come quella della «liberazione sessuale». Per finire, pure il fatto di aver operato nel cono d’ombra della provincia transalpina: due angoli di Francia di recente presi nel vortice imprevisto di un’invasione di telecamere. Dunque, in sintesi: l’omertà-impunità, la doppiezza subdola di due “padri di famiglia ordinari”, il narcisismo, la generazione sessantottesca, un certo “provincialismo” del male.

A ben guardare, non sono pochi i tasselli comuni fra due casi che, nella loro furiosa abiezione, hanno rivelato alla Francia un continente sommerso ancor più sfuggente rispetto ai contesti della società, delle istituzioni o del mondo professionale fin qui posti maggiormente sotto i riflettori mediatici per scandali di abusi: il mondo dello spettacolo, quello dello sport, o ancora quello delle associazioni scout e di altre realtà giovanili legate alla Chiesa francese.

Da mesi, i casi Pelicot e Le Scouarnec destano interrogativi per certi aspetti inediti, anche a proposito della spessa coltre di omertà di cui entrambi i criminali hanno goduto. Pelicot invitava i propri “sodali”, per così dire, su siti Internet accessibili pubblicamente. Quanto al chirurgo Le Scouarnec, era già stato condannato nel 2005, proprio a Vannes, a 4 mesi con la condizionale per detenzione di materiale pedopornografico, ma questi trascorsi ufficiali non sembrano aver allertato o scosso più di tanto i responsabili o i colleghi nelle diverse strutture ospedaliere per le quali il professionista ha continuato a lavorare. Non ha avuto nulla da ridire neppure l’Ordine dei medici transalpini, contro il quale si puntano ora tanti diti accusatori. In entrambi i casi, la mostruosa frequenza dei crimini è tale da rendere del tutto inverosimile l’ipotesi che solo poche persone potessero nutrire quanto meno dei sospetti, se non più. A proposito di Le Scouarnec, si è già pure scoperto che il chirurgo si sentiva tanto sicuro di sé da coprire anche gli abusi seriali di un radiologo il cui percorso criminale si è per fortuna interrotto molto prima, nel 2006, dopo una condanna per stupri e violenze sessuali su 32 pazienti donne, fra cui 8 minorenni.

L’elevatissimo numero di persone e famiglie coinvolte a vario titolo conferisce ai due casi una dimensione collettiva che inevitabilmente chiama in causa pure riflessioni sui contesti sociali, locali ma anche più larghi, in cui persino l’inverosimile è potuto divenire una turpe realtà. Se l’affaire Pelicot è stato molto commentato in primis dalle associazioni di difesa dei diritti delle donne, il processo Le Scouarnec ha suscitato le reazioni immediate delle istituzioni in difesa dell’infanzia. In entrambi i casi, sono tante le accuse lanciate circa una sottovalutazione storica sistematica dei crimini sessuali in Francia, con il tragico corollario di una cecità frequente sulle sofferenze delle vittime. A puntare il dito contro i silenzi del contesto sociale, vicino e generale, è ad esempio il libro L’impunis (l’impunito), sul caso Le Scouarnec, della giornalista Marika Mathieu.

Sotto choc, il Paese non sembra ancora giunto allo stadio delle risposte vere e proprie. E forse, neppure il dibattito ha preso finora un’ampiezza piena di respiro all’altezza della gravità di quanto si è scoperto. Ma almeno, come frecce destinate prima o poi a colpire dei bersagli, sono state lanciate frontalmente tante domande talora senza precedenti. Per spiegare l’omertà e l’impunità di contorno, oltre alle pulsioni dei criminali, ci si è chiesto se esista qualche legame con la scia storica del libertarismo degli anni Sessanta e Settanta, protrattosi pure negli anni Ottanta. Si tratta della stessa epoca direttamente al centro di casi anch’essi saltati di recente sulla ribalta della cronaca, in modo retrospettivo. Solo per citarne uno, la condotta di uno scrittore piuttosto noto, Gabriel Matzneff (premiato persino dall’Accademia di Francia) che in opere apertamente autobiografiche soleva raccontare impunemente i propri incontri sessuali con bambini e giovani adolescenti. Lo stesso Matzneff, per decenni non poco appoggiato negli ambienti letterari e politici, è finito sotto processo solo di recente, dopo il clamore suscitato dal libro Il consenso (tradotto in italiano da La Nave di Teseo), di Vanessa Springora, la quale ha descritto il modo in cui finì a 14 anni nel letto di un uomo all’epoca cinquantenne.

La Francia che assiste alla mostruosa “banalità” degli abusi seriali è pure lo stesso Paese che ha appreso di recente le stime degli esperti, assolutamente sconcertanti, sull’ampiezza del dramma nascosto dell’incesto. Lo stesso incesto, del resto, emerso pure fra le tante pieghe fosche dei casi Pelicot e Le Scouarnec. In proposito, la Commissione indipendente sull’incesto e le violenze sessuali nell’infanzia (Ciivise), organismo di giudici ed esperti voluto nel 2021 dall’Eliseo, ha già raccolto più di 30mila testimonianze sulla piaga, stimando che ogni anno 160mila bambini sono vittime di violenze sessuali. Gli adulti che hanno invece subito violenze sessuali nell’infanzia sarebbero 5,4 milioni, secondo stime costruite a partire anche da sondaggi a campione condotti anonimamente. Di fronte a simili proporzioni, l’organismo esorta apertamente a «passare da una cultura del silenzio a una cultura dell’accompagnamento» delle vittime.

Ormai non più confinate nelle cerchie degli esperti, le domande sul continente ancora in gran parte sommerso delle violenze sessuali in Francia appaiono come macigni. Si tratta d’interrogativi sconvolgenti, tanto più nel Paese che più si fregia d’essere stato la «culla dei diritti umani». La stessa Francia che nel 1948, non a caso, accolse la stesura e firma della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ma una volta spenti gli altoparlanti dei grandi discorsi sui nobili principi universali formalizzati nei palazzi parigini, è come se adesso da tutti i piani inferiori a quello della ‘culla’ giungesse sempre più forte l’eco sorda del dolore di schiere sterminate di vittime. Quei bambini e quelle donne rimasti così a lungo in sordina o in un ‘sottoscala’ della storia nazionale francese, se non ridotti al silenzio.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: