Uno più uno più uno, fa tre. Ma stavolta inclina minacciosamente a fare zero. Tabula rasa. Nulla. Si spara sul Colle, per colpire anche Palazzo Chigi e sapendo benissimo che si andrà a minare l’interesse del Paese che – in questa acuta e interminabile fase critica, piaccia o non piaccia a oppositori più o meno ufficiali e a cittadini più o meno esacerbati – postula la tenuta dei due perni del sistema politico-istituzionale e di governo. Verrebbe da dire che siamo al cospetto di un’operazione "piazza pulita". L’attacco al Quirinale di Giorgio Napolitano – che del sistema Italia è, oggi, l’indubitabile e principale baricentro – è l’attacco estremo a un Palazzo che si vuole più in crisi di quanto già non sia. E che una simile offensiva scatti in contemporanea con gli affondi contro un equilibrato e rigoroso servitore di lungo corso delle Istituzioni come Nicola Mancino è un fatto rivelatore. In qualche modo è la dimostrazione che c’è chi ha scommesso, ferocemente scommesso, sull’archiviazione della cosiddetta Seconda Repubblica come cruenta continuazione al cospetto dell’opinione pubblica della caduta della Prima Repubblica.Una rovina annunciata esattamente con gli stessi mezzi, mescolando verità scottanti, amare mezze verità e ipotesi vergognose e inconsistenti, procedendo anche con procedure creative e attraverso atti di accusa magari flebili ma inesorabilmente mediatizzati, e così resi pesanti come sentenze. Una rovina vagheggiata e forse propiziata – proprio ieri l’abbiamo di nuovo segnalato – dal verticale impennarsi delle ormai sistematiche violazioni dell’articolo 15 della Costituzione, quello che sancisce la "inviolabilità" della corrispondenza e delle comunicazioni. Si è soliti evocare tutto questo con la parola «intercettazioni», ma ormai siamo alla brutale intrusione nella vita di persone e di istituzioni, e persino all’impunito e ostentato furto non solo di conversazioni ma di documenti e di carte. E se qualcuno pensa che stiamo anche pensando al tradimento commesso Oltretevere, ai danni del Papa e dei suoi collaboratori, e ai complici che di qua dal fiume hanno ricettato e usato per tentare di colpire la Chiesa e portare scompiglio nel popolo cristiano, pensa proprio giusto. C’è una grande questione democratica e di libertà che si pone, e purtroppo – lo scriviamo non da oggi, e da sempre schierati con le vittime di questo gioco ormai lungo e atroce – in termini esattamente opposti a quelli usati dai retorici del «bavaglio». Il vero bavaglio che ci è imposto è quello che ci caliamo addosso ogni volta che da semplici cittadini, parlando al telefono o scrivendo una mail o un sms, pensiamo all’effetto che farebbe leggere le nostre parole trascritte in un faldone giudiziario e selezionate per l’intemerata di turno sulle pagine di qualche giornale. Lo ripetiamo: c’è una grande questione democratica e di libertà che si pone, e va finalmente risolta.Tutto questo non accade politicamente per caso. Ma per diverse e tenaci determinazioni e per molte irresolutezze. Queste ultime sono quelle che ci interessano e ci preoccupano di più. La cosiddetta Seconda Repubblica è alla fine. E la speranza, nostra e non solo nostra, era ed è che questa fine coincida con un nuovo inizio, che non avvenga cioè solo per crollo, ma per superamento. Per riforma, insomma: di istituzioni, regole e comportamenti. E di partiti e di classi dirigenti. Magari anche di contenuti dell’agire politico. E di obiettivi ideali e di mète concrete. Vogliamo troppo? Forse, ma è evidentemente l’indispensabile. L’indispensabile risposta reclamata da un Paese sempre meno fiducioso e più impaziente. Una risposta che cerchiamo da cittadini, noi. E non premeditiamo da congiurati. Una risposta che non chiediamo imprecando contro la politica, ma rispettandola e pretendendola all’altezza di sé e di queste sacrosante attese. Dunque, una politica dedita, efficiente, efficace, esemplare. Ma soprattutto in sobria sintonia coi duri tempi che viviamo. Una politica buona e magra. Severa con se stessa, e perciò abilitata a chiedere a sua volta ai cittadini. Una politica come quella attuata di slancio dai "tecnici" di Mario Monti nella prima durissima fase dell’azione di governo e, ce l’auguriamo, in quella più corroborante che deve riuscire a dispiegarsi nei mesi a venire.Il presidente della Repubblica si è fatto interprete e garante di quest’ansia e di queste speranze. E noi che, come i lettori sanno, ne stimiamo l’intelligenza politica e la saggezza istituzionale (sebbene non proprio tutto e sempre abbiamo apprezzato nelle sue scelte) gliene siamo grati. E siamo contenti che ieri abbia parlato chiaro e forte per affrontare quelli che, con ben mirate manate di fango, lavorano all’operazione "piazza pulita". Non si tratta di porre persone e figure e attività istituzionali al di sopra delle legge o anche solo al di sopra di ogni sospetto, ma di sventare giochi al di sotto di ogni decenza.