Il volto di Giorgio Napolitano, tanto quanto le sue parole, ha comunicato assai bene, ieri, la lucida preoccupazione e – quasi – l’angoscia con la quale il capo dello Stato sta cercando di preservare l’Italia e la vita degli italiani da ulteriori assalti speculativi e di aprire una via d’uscita da una crisi ormai trasformatasi in pantano. Lo sta facendo con decisioni davvero senza precedenti e che segnano l’accelerazione del cammino verso una Terza Repubblica che si annuncia tra le macerie politiche di una Seconda Repubblica mai nata davvero e nel pieno di un inverno economico e sociale che si va facendo più duro. Siamo, e ci sentiamo, intrappolati in una condizione di collettiva vulnerabilità. E questo non solo a causa di un risultato elettorale che ha smontato il vecchio bipolarismo rissoso senza cancellarne i protagonisti (e i ben noti conflitti di interessi e interessi al conflitto), ma per la crescita di peso e di numero di quanti, consapevolmente o meno, spingono non per una saggia riforma del nostro sistema ma per un suo rovinoso collasso.
Proprio la carenza di “saggezza” dei (e nei) partiti ha portato il Quirinale a selezionare e incaricare dieci “saggi”. Dovremmo, in realtà, aver già scelto 945 saggi, noi tutti, democraticamente, lo scorso febbraio, ma ci siamo già resi conto che non è andata esattamente così. Tant’è che l’esito del voto che doveva riportare in scena la “politica” sta risospingendo verso la provvisorietà emergenziale di una gestione “tecnica”. Questo significa, a quanto pare, addirittura congelare crisi politica e governo Monti. Un drammatico inedito, che non assolve i partiti vecchi e nuovi dai loro doveri. Anzi li ingigantisce. La crisi economica e sociale, infatti, non si congela. E la Terza Repubblica non può nascere per forzature e per disperazione.