I grandi cambiamenti, epocali, che ci hanno condotto da un’era all’altra, da quella analogica alla digitale, hanno prodotto vantaggi indiscutibili nella qualità della vita di noi tutti. Perlomeno per chi come noi vive nella parte più agiata, e fortunata, di questa pianeta. Mettere in discussione questo assunto è nella migliore delle ipotesi prova di scarsa lucidità. O peggio di malafede. Di queste due categorie, i poco lucidi e i maliziosi, fa parte un buon numero di «no-vax» di queste ultime settimane.
Se è, dunque, innegabile affermare i tanti cambiamenti benigni introdotti dal progresso, altrettanto innegabile, e disonesto, sarebbe non considerare alcuni mutamenti che nulla hanno di positivo. Anzi. Mutamenti negativi, spesso in modo anche drammatico. La gratuità. Dal latino gratia. Il dono in quanto tale. Per amore del prossimo. Senza attendere nulla in cambio oltre al benessere di chi abbiamo di fronte.
La gratuità rischia di diventare, secondo certe logiche dominanti, una pietra preziosa sempre più introvabile. Per di più, con l’esplosione dei social network, e quindi della visibilità come veicolo fondamentale di ogni attività umana, a partire dall’economia, si è spezzato quel vincolo, per molti sacro, che univa attraverso l’offerta gratuita due esseri umani. Dare per il gusto di farlo, spesso per sollevare un proprio simile da un affanno ingiusto, spropositato. Quanti, oggi, offrono qualcosa con questa pulizia di cuore? Quanti lo fanno senza calcolo? Senza pensare prima di tutto a se stessi?
Ormai, per tanti, ogni gesto umano è funzionale al meccanismo che prevede, appunto, come unica ricompensa che conti l’aumento del proprio 'volume di traffico', in questa o quella piazza, in questo o quell’account. Facciamo per farci vedere. E anche per raccogliere, in diverso modo lucrare, i ricavi che il nostro gesto ha prodotto. La dinamica è sotto gli occhi di tutti.
Molti, moltissimi personaggi pubblici offrono il loro appoggio a questa o quella causa per sfruttarla, cinicamente, per raccogliere un doppio profitto: la visibilità, dunque l’aumento dei propri volumi d’affari, e la benevolenza sociale per il loro impegno. Il corto circuito finale, infernale, è questo: sono le vittime, i bisognosi, a fare del bene a quelli che additiamo grossolanamente a benefattori.
L’opposto della gratuità, che si nutre del bene fatto ad altri come alimento fondamentale per la nostra vita. Nulla di nuovo sotto il sole, si dirà. Ed è vero: Matteo, 6, 2-4. «Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente.
In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». E se il Vangelo non è un testo di riferimento, almeno per una questione di buon gusto. Anche se, ormai, alcuni personaggi (oggi li chiamiamo influencer) sono ben oltre il limite della decenza. Per fortuna, resiste ancora chi cerca nella terra, e anche nelle nostre città del Nord del mondo, la vena della gratuità senza altro a pretendere. Oggi più che mai vivono e lavorano in silenzio.
Persone che offrono, si offrono, per il gusto supremo del bene.
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