domenica 18 dicembre 2011
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Un’incursione in libreria può ancora riservare un’emozione. Accade in una nota libreria romana dove, a giudicare dalla posizione espositiva di rilievo (là dove lo sguardo cade a prescindere dalla volontà del visitatore), ecco spiccare Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana. La curiosità è motivata da questa operazione di vintage editoriale. Non c’è campo dell’industria, dall’automobile alla moda passando per l’arredamento, in cui la rivisitazione di un prodotto nella chiave della nostalgia per 'come eravamo', non sia stata sperimentata con successo. Basti pensare al fenomeno della Fiat '500', che ha spinto all’acquisto legioni di nostalgici. Ecco, abbiamo davanti a noi un caso di vintage editoriale. Per noi che conserviamo gelosamente l’edizione del 1967, ricevuta in dono dalla giovane zia maestra elementare con tanto di dedica riformista adatta a quei tempi turbolenti («Rinnovare sì, distruggere no», firmato zia Deia, Natale 1968) è un invito a nozze. I due libri, quello del 1967 e quello del 2011 sono identici. Stessa copertina bianca con il titolo a stampatello dello stesso colore (verde petrolio), stessa grafica, identico numero di pagine complessive (166). Conservati persino gli errori, a cominciare dagli accenti invertiti. Immutata anche l’impaginazione, con i titoletti a margine che guidano il lettore nella scoperta dell’universo della scuola di Barbiana, fondata da quel genio o "santo" – a seconda dei punti di vista – di don Lorenzo Milani, una delle figure più controverse e amate del Sessantotto cattolico. Un prete così diverso da suscitare sentimenti radicali: da odiare o da amare. Sicuramente da non ignorare, per chi ha a cuore il destino della scuola e soprattutto di scolari e studenti più svantaggiati. E se consideriamo che la povertà assume sempre nuove forme, anche nella società globalizzata e post­moderna nella quale noi viviamo, la lezione di don Milani ha ancora qualcosa da evocare e suggerire. Dunque, al di là della riuscita operazione di vintage editoriale, destinata al successo solo se il testo ha lasciato davvero un segno nella storia civile di un Paese e di una comunità, bene ha fatto la Libreria editrice fiorentina a riproporcelo esattamente com’era. Certamente, la casa editrice non ha mai smesso di pubblicarlo in quella stessa veste, ma è importante che oggi abbia conquistato una posizione di rilievo sugli scaffali delle nostre librerie supermarket, riproponendosi come vintage editoriale. Forse è lo spirito del tempo. Del ritorno alla serietà, alla complessità, alla sobrietà, dinanzi a un mondo in cui si estende l’area del disagio sociale. Lì, in quelle pagine, si respira ancora la voglia di un riscatto civile che non può che fare bene a un Paese anestetizzato dalla televisione e accecato dall’utopia di un benessere a poco prezzo, che ha visto accrescersi a dismisura le disuguaglianze sociali, senza darsi pena di curarle. Chissà cosa direbbe oggi don Milani, dinanzi a una scuola incapace di attenuare le disuguaglianze e di promuovere l’ascensore sociale... Vi chiederete se poi l’abbiamo acquistato il 'nuovo' libro. Certamente sì, e a un prezzo da regalo di Natale, com’era anche nel 1968. La sua destinazione è la libreria dell’ufficio, dove si affiancherà, esposto dalla parte della copertina, alla vecchia edizione ingiallita, con i fogli tutti staccati e i colori quasi irriconoscibili. Ma sarà ancora un bel vedere. E forse anche un bel leggere e pensare.
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