Mi veniva da ridere. Entrato in seminario dopo aver lavorato per un decennio in ospedale, abituato a dirigere un reparto, da un giorno all’altro ti ritrovi a dover chiedere il permesso ai superiori anche per andare in libreria. Mi veniva da ridere, dicevo, ma non mi pesava affatto. Al contrario, mi sentivo libero, leggero, c’era chi pregava per me, chi si preoccupava della mia formazione teologica e spirituale. Io semplicemente dovevo studiare, lasciar fare, imparare a riposare. L’ordinazione. L’apostolato. I primi successi, le prime delusioni, le prime sconfitte. La realtà, sempre più complessa e dura di quanto si possa credere. Prete. Parroco in una zona povera, difficile, ma proprio per questo tanto interessante. Una sfida continua.
Apostolo tra gente che ha fame; di Dio, di giustizia, di aria da respirare, o semplicemente di pane da mangiare. Impari in loco. Delle interessanti lezioni di ebraico ricordi poco, eppure l’esame andò benissimo. Pian piano t’ immergi nella vita delle persone. Impari a sentire con loro, a gioire con loro, a soffrire con loro. Combatti con chi combatte e al posto di chi, bloccato dalla paura, si rende latitante. I bambini, in particolare, ti fanno soffrire.
Li vedi, sperduti, sempre un passo indietro, partono già sconfitti. Ti viene la rabbia, ti chiedi: « Ma perché?» A volte alzi la voce, altre volte ti affidi a Dio e lasci fare a lui, altre volte ancora vai a gettarti ai piedi di qualche potente che hai avuto modo di conoscere, ti umili, fai cose che non avresti mai pensato di fare, per chiedere la carità di un posto di lavoro, di una promozione a scuola non del tutto meritata. Una voce ti martella in testa: devi salvarli, a tutti i costi devi salvarli. Con alcuni ci riesci, con altri meno, con altri ancora sperimenti il fallimento. Ma senti di amarli tutti. Varchi le porte del carcere dove sono detenuti.
Li vedi, li abbracci, ti abbracciano, piangono. Vorresti prenderli a sberle, ma ti accorgi che i tuoi occhi stanno per straripare e il labbro trema. Il prete. Chi avrebbe potuto dirmi che cosa vuol dire essere prete? Gli anni passano. Ti consumano. Ti affibbiano etichette. Tutte false. “ Prete anti-camorra, prete ambientalista, prete della terra dei fuochi”. Macché! Un prete è veramente prete solo se è un povero prete. Così come un “uomo”. Il più bel complimento che puoi fare a un uomo è chiamarlo uomo. Non galantuomo, non superuomo. L’Übermensch nietzschiano non mi ha mai convinto. Nell’essere uomo c’è la tua grandezza. Nell’essere prete la tua vocazione. Il resto è superfluo.
La legge dell’incarnazione pretende che tu ti faccia tutto a tutti. Sei apostolo tra gli ammalati? Penetra nella loro malattia, mettiti nei loro panni, vivi le loro angosce. In carcere sei a contatto con persone che hanno fatto tanto male e che molti, volentieri, condannerebbero alla pena di morte? Tu lascia stare, non farti influenzare, considerali fratelli, poveri, poverissimi, disgraziati. Guardali come li guarda Gesù.
E ripeti a te stesso: « Anche per loro, Dio è morto». Te li ritrovi in parrocchia, questi tizi, liberi, latitanti, ai domiciliari che dettano leggi, fanno i gradassi, inquinano, uccidono, impediscono la crescita umana ed economica della tua terra? Mettiti, senza titubanza, dalla parte del più deboli, dei più fragili, di chi non ha la voce per gridare. Lotta con loro. Stimola e aiuta le istituzioni, senza dimenticare che anche i potenti sono uomini con i loro difetti, i loro limiti, le loro paure. Ecco, cercheranno di intimidirti. « Prete – ti diranno – perché vuoi metterti nei guai? Perché non celebri la Messa e te ne torni a casa?» Non ci riescono? Passano alle maniere forti, fanno brillare una bomba al cancello della chiesa. « Chissà – pensano - magari la smette». Le autorità costituite si preoccupano. Ed ecco, il momento tante volte temuto, arriva.
Finisci sotto scorta. La notizia fa il giro delle redazioni. I fedeli preoccupati, pregano. Per te una vera mazzata in testa. Segue una giornata di angoscia. Poi? Poi basta. È un lusso che non ti puoi permettere. Si riparte, si ricomincia. Come quel primo giorno in seminario. Ricordi? Ti viene da ridere anche se stavolta un po’ ti pesa. Sai però che è giusto così. Allora, ancora una volta, riconoscente, pieghi il capo e ripeti: “ Eccomi … avvenga in me secondo la tua parola”.