L’Europa continua nella politica miope della finanziarizzazione delle politiche migratorie. Dopo la Turchia e la Libia, la firma del memorandum a Tunisi dimostra che il modello che prevede cospicui assegni in cambio del blocco delle partenze in chiave esclusivamente securitaria è uno standard. Senza prevedere, però, garanzie di rispetto dei diritti umani dei migranti in transito e senza che i patti vengano rispettati. Siamo infatti arrivati a firmare un accordo con Tunisi perché in Libia e in parte in Turchia gli accordi di stop dei migranti in cambio di soldi non hanno funzionato. Altrimenti questo non sarebbe l’anno record degli arrivi in Italia dal 2017 e non avremmo assistito in meno di sei mesi a due tragici naufragi (anche se già dimenticati) come quello di Cutro e quello di Pylos.
Premesso che non è in discussione la volontà europea, e italiana in particolare, di sostenere economicamente la Tunisia con un miliardo aggiuntivo ai quasi due miliardi di dollari chiesti all’Fmi per evitare il default e non ancora erogati perché il presidente Saied non accetta i tagli ai sussidi chiesti dall’organismo di Washington. La Tunisia, come dimostra l’accordo, è diventato infatti un partner strategico per Roma e Bruxelles per l’approvvigionamento anche di energie alternative, il turismo e gli scambi culturali. Inoltre, in Tunisia hanno sede 900 aziende italiane e ci sono legami storici e culturali importanti. Il Paese non può infine fallire anche per ragioni geopolitiche. Ma tutto ciò non può avvenire sulla pelle di migranti disperati.
Non è un’invenzione delle ong, come ha avuto l’impudenza di affermare domenica il presidente Saied, che da mesi gli stranieri subsahariani vengano cercati da ronde di poliziotti e cittadini casa per casa a Sfax e in altre città e che 700 di loro siano stati espulsi e deportati senza acqua né cibo nel deserto al confine con la Libia e salvati dopo le proteste della società civile dalla Mezzaluna Rossa. E non è in atto nessun tentativo di sostituzione etnica, come sostiene pubblicamente sempre il presidente ultra-populista. Deve invece affrontare un flusso abnorme di persone in transito che approfittano della crisi economica che ha travolto il Paese maghrebino per pagare di meno il viaggio della speranza verso Lampedusa su barchini fragili, privi di motore e trainati da pescherecci. È interesse comune di Tunisia ed Europa che le partenze senza sicurezza si fermino per salvare vite umane e che i flussi vengano gestiti e i trafficanti contrastati. Ma certi limito sono invalicabili quando si tratta della vita umana. Allora bisogna fare chiarezza sul memorandum. In concreto se Tunisi ha già ricevuto 55 milioni di euro dall’Ue dal 2017 al 2020 per fermare i flussi migratori e non ha fatto molto nonostante ne abbia i mezzi, perché raddoppiando la cifra dovrebbe fare di più? E cosa succederà ai migranti che verranno fermati in mare dalle pattuglie navali tunisine ed europee? Senza ottenere risposte chiare da Tunisi soprattutto sui diritti umani l’Ue rischia di fare un altro clamoroso passo falso nel Mediterraneo.