Non è infrequente, ancor più da quando soffiano i venti sovranisti, udire espressioni tranchant come 'le Nazioni Unite non servono a nulla' o 'l’Onu ha fatto il suo tempo'. Senza nascondere i limiti costitutivi, politici e di diritto internazionale dell’erede della Società delle Nazioni, e le posizioni ambigue o inaccettabili assunte da alcuni suoi organismi su questioni eticamente sensibili – come aborto e pianificazione familiare – è ingeneroso (e talora strumentale) dimenticare il suo prezioso contributo nei processi di risoluzione dei conflitti internazionali, civili e militari, nella promozione degli aiuti umanitari alle popolazioni povere o colpite da calamità naturali, nel soccorso alle vittime di violenze etniche o sociali e di guerre, e nella protezione dei profughi e dei rifugiati. Anche la tutela delle singole persone esposte a violazione dei diritti umani, discriminazioni, torture e pena capitale rientra nei compiti assolti dall’Onu.
È apparso con evidenza negli ultimi sviluppi dell’« affaire Vincent Lambert », come viene chiamata in Francia la drammatica vicenda umana dell’infermiere di 42 anni, disabile affetto da paralisi cerebrale (tetraplegia) con 'sindrome della veglia non responsiva' (o 'stato di coscienza minima plus'). Dopo numerosi ricorsi dei suoi genitori alle autorità amministrative e giudiziarie della République, dalla primavera 2013 ai giorni scorsi, volti a ottenere che il loro figlio non venissero privato dell’idratazione e della nutrizione, i giudici della Corte d’appello di Parigi hanno dovuto cedere alla reiterata ingiunzione del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità (datata 17 maggio, e respingente il ricorso del Governo francese) con la quale si chiede di sospendere l’esecuzione del protocollo eutanasico, iniziata lunedì mattina nel Centre Hospitalier Universitaire di Reims, in attesa di un esame approfondito del caso da parte del Comitato stesso.
La Francia ha infatti ratificato nel febbraio del 2010 la Convenzione per i diritti delle persone disabili che, all’articolo 4, obbliga gli Stati firmatari «ad assicurare e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità, senza discriminazioni di alcun tipo basate sulla disabi-lità, […] ad astenersi dall’intraprendere ogni atto o pratica che sia in contrasto» con il dettato della Convenzione stessa, e «ad assicurare che le autorità pubbliche e le istituzioni [del proprio Paese] agiscano in conformità » a essa. L’Onu ha raggiunto lo scopo di fermare (almeno per ora) l’accanimento tanatologico, l’ostinazione irragionevole anticurativa verso il malato Lambert, laddove il Consiglio di Stato e la Corte europea dei diritti dell’uomo avevano fallito questo compito. Resta ora da vedere se i 18 membri della Comitato delle Nazioni Unite, presieduto dal cinquantasettenne giurista nigeriano Danlami Umaru Basharu, riterranno definitivamente che a Vincent non si debbano negare i supporti vitali essenziali perché possa continuare a vivere.
Sarebbe un bel giorno, una nuova alba per i diritti di tutti gli uomini e di ogni uomo - il primo e fondamentale è quello alla vita - anche per chi è portatore di un grave handicap: l’incapacità a muoversi e a comunicare con il mondo esterno. Fa ben sperare l’articolo 10 ('Diritto alla vita') della citata Convenzione, che così recita: «Gli Stati Parte riaffermano che il diritto alla vita è inerente ad ogni essere umano e prenderanno tutte le misure necessarie ad assicurare l’effettivo godimento di tale diritto da parte delle persone con disabilità su base di uguaglianza con gli altri».
Un articolo fortemente voluto e difeso in sede di elaborazione e approvazione della Convenzione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tra gli altri, anche dalla Missione della Santa Sede presso l’Onu, che di questo organismo internazionale fa parte da 55 anni come Osservatore Permanente. La Chiesa – fedele all’insegnamento del Vangelo – ha sempre difeso e promosso in questa autorevole sede i diritti dei più poveri, dei più deboli e dei più indifesi nel mondo. Ora assieme a tanti, credenti e no, anch’essa guarda con trepidazione e speranza a questo consesso internazionale perché un uomo 'inefficiente' e 'imperfetto' secondo i canoni del mondo veda riconosciuto e tutelato il suo inalienabile diritto a continuare a vivere.
Bioeticista, Università Cattolica del Sacro Cuore