Gentile direttore,
la mattina del 15 agosto, uscendo dalla chiesa di S. Vincenzo a Cernobbio, ho incrociato una coppia di mezza età che, entrando stava dicendo: «Poveretto quel nonno che si ritrova un nipotino nero». E non era un commento bisbigliato, ma fatto intenzionalmente a voce alta. Il nipotino in questione, che era già sul sagrato per mano appunto del nonno, è un bambino di tre anni con una testa di ricci scuri e due occhi grandi come piattini da tè. Mio figlio, per la precisione. Mulatto, per essere ancora più precisi, visto che è figlio di pancia: io sono bianca e il suo splendido padre, ovviamente, è nero. Ma anche se non fosse stato mio figlio, avrei provato la stessa sensazione: un misto di pena e disgusto per l’ardire di queste persone, che entrando in chiesa il giorno dell’Assunzione hanno formulato e addirittura verbalizzato questo pensiero. Un misto di tenerezza e preoccupazione per questo bambino e per sua sorella, appena nata, che un giorno non lontano si troveranno a fare i conti con commenti di questo tipo. Che verranno non solo dall’uomo della strada, ma perfino dai loro parrocchiani, che dovrebbero invece essere la comunità che li cresce con amore e che li educa insieme ai loro genitori, per farne degli adulti responsabili. Avrei voluto fare dietrofront e dirlo apertamente, ma sul momento mi sono mancate le parole giuste. Le affido a lei, direttore, sperando possano in qualche modo giungere a loro e a tutti quelli che sono capaci di simili pensieri. La ringrazio,
Carlotta Toscano, mamma
Gentile direttore,
sono un medico chirurgo e coopero da anni con una piccola associazione locale, “Asmev”. Operiamo in Eritrea, dove abbiamo realizzato due centri dialisi, i primi del Corno d’Africa, e collaboriamo negli ospedali di Asmara, dove portiamo farmaci e strumenti. In questi anni, nei miei viaggi all’estero, ero orgoglioso del mio passaporto italiano, in quanto ancora pensavo a quella frase che ci accompagnava “italiani brava gente”. Oggi mi sento molto in difficoltà. All’estero prevale l’immagine di una nazione incattivita e razzista nella quale la parte peggiore dell’indole degli italiani ha preso il posto dell’italico buon cuore. La Lega con il suo “ministro della paura” ha ottenuto ottimi risultati. Giornalmente, nel mio ambulatorio in Calabria, sento tanti pazienti che scaricano le proprie ambasce, la mancanza di lavoro, sull’«uomo nero». Dimenticando che loro trovano le cipolle, le arance, i pomodori al mercato in quanto sono quegli «uomini neri» che per pochi euro al giorno li raccolgono e fanno quel lavoro che noi calabresi non facciamo più. Vorrei dire all’egregio ministro Salvini: io nel mio piccolo aiuto queste persone a casa loro e anche a casa mia, ma lei cosa fa? A decine, a centinaia – anche se lei nega pure questo – continuano ad affogare, dopo aver patito terribilmente in Libia. Questi sono i poveri disperati, donne, bambini, uomini che lei definisce “clandestini” e “migranti economici”. Venga in questi Paesi, dove io ho visto morire per disidratazione bambini, dove un pugno di riso è una fortuna. Venga in mare senza parate e fanfare e vedrà galleggiare qualche corpo, delle migliaia di annegati... Per questo motivo io mi permetto di fare un appello alle Ong: non fate più rotta sui porti italiani. Il vostro operato umanitario viene trasformato in propaganda elettorale. Il far passare azioni di salvataggio come atti illegali è diventata la specialità di Salvini. Volgete le vostre prue su altre nazioni, sino a quando non sarà passata l’ubriacatura di un intero popolo.
Cosmo De Matteis, medico
Vi ringrazio di cuore, cara signora Toscano e gentile dottor De Matteis, per le vostre lettere coraggiose, bellissime e durissime. Due sguardi veri e profondi nella loro intensa diversità che ho deciso di proporre insieme a tutti gli altri lettori. Non avrebbero bisogno di commento, le vostre parole, ma di essere lette, accolte e meditate. Lasciando fuori della porta e della mente gli slogan e le pre-comprensioni che infestano anche i giorni di questa estate 2019. Ma non posso e non voglio rinunciare a qualche riga di risposta. Perché leggervi mi ha fatto male e bene, mi ha commosso e indignato, e mi ha richiamato alla mente le tante riflessioni che in questi anni purtroppo tormentati e feriti anch’io, come altri (meno di quanti mi aspettassi, purtroppo), ho cercato di sviluppare a proposito della indispensabile resistenza umana e cristiana alle spinte di chi vorrebbe far rotolare noi italiani lungo la rovinosa china del cattivismo e del razzismo. Sragionamenti, ri-sentimenti, frasari indecenti che non sono stati soltanto sottovalutati e addirittura negati nella loro gravità, ma deliberatamente incoraggiati e proposti da politici irresponsabili e da opinionisti complici quasi come esempi di affrancamento dal “politicamente corretto”, e che l’ignavia di troppi ha sin qui tollerato.
A lei, gentile signora Carlotta, vorrei semplicemente dire che affido a ogni nostro lettore credente o non credente le sue preoccupazioni e le sue speranze. E che so che le sue parole sapranno toccare e svegliare cuori e coscienze anche e soprattutto nelle nostre comunità cristiane e in chi le guida, alla scuola del Papa. Suo figlio, sua figlia sono figli e nipoti anche nostri. Continuano la nostra storia e la faranno migliore. E tutti noi, proprio ora, proprio su questa civile frontiera che non ha bisogno di muri ma del loro contrario, siamo chiamati a dare ragione della nostra fede, della nostra speranza e del nostro amore. Perché se anche i cristiani facessero davvero, e più d’uno è arrivato a farlo, della pelle di un bambino, di un uomo, di una donna il metro del proprio giudizio, un mondo intero di verità e di bellezza ne risulterebbe devastato, il volto e il corpo di Cristo ne sarebbero di nuovo percossi e sfregiati, la Parola di Dio tradita e ancora crocifissa.
A lei, caro amico medico, mi sento invece di dire che la sua dedizione e il suo impegno si specchiano in quelli di molti altri e che nessuna ingiuria e mistificazione anche da parte del più potente del mondo potrà mai sfigurare e vanificare ciò che viene fatto in nome di Dio e dell’umanità per i più poveri e deboli, in Italia e altrove. Questo azzardo perfido potrà anche riuscire con qualcuno e per un po’, ma le menzogne si ritorceranno contro chi le costruisce e le affastella come per un rogo. E c’è di più: non possiamo rassegnarci all’idea che la nostra patria e il nostro popolo siano guardati con lo stesso sospetto e la stessa sfiducia che si vorrebbe riempissero il nostro sguardo sugli altri. Le rivelo una cosa, che i miei colleghi e amici in Redazione sanno bene: in questi ultimi mesi sono stato in diverse occasioni sul punto di scrivere un editoriale che mi dava dolore anche solo pensare, proprio sul capovolgimento dell’immagine dell’Italia e degli italiani: da “brava e buona gente” a odiosi militanti del rifiuto dello straniero, e soprattutto dello straniero povero e dalla pelle scura. Non riuscivo mai a cominciare... Lo ha fatto lei, alla sua maniera e con la fatica di chi ha sperimentato direttamente tale sensazione. Che ci sia di monito e di sprone. E non condivido la sua amara conclusione: che nessuno mai tra quanti salvano e curano volga prue e fiducia lontano dall’Italia per disistima di noi italiani e di chi ci ha governato nelle due ultime estati. Non siamo tutti ubriachi, non siamo tutti cinici e calcolatori, non siamo tutti persi. Grazie, caro amico e gentile amica, per averci aiutato a essere più consapevoli che lo sguardo sull’Italia e sulle persone, italiane e no, con la pelle di un altro colore sono lo stesso sguardo. E non giudica i piccoli e i deboli, ma i responsabili.