Gentile direttore,
vorrei rivolgermi attraverso “Avvenire” all’illustrissimo professor Giorgio Parisi, innanzitutto per complimentarmi con lui per i suoi studi sui sistemi complessi e per il prestigioso riconoscimento ottenuto. Il premio Nobel per la fisica lo ripaga di tutto il suo impegno, intelligenza e passione per la scienza. E noi come italiani, fieri della sua mente brillante, partecipiamo con gioia ai suoi meriti. Vorrei però fargli un’osservazione, dal punto di vista umano, non scientifico.
Il professore ha dichiarato: «Dio per me non è neanche un’ipotesi». Non lascia insomma neanche il beneficio del dubbio, ma mette una pietra tombale, nel vero senso della parola. L’esistenza di Dio non rientra nei sistemi complessi, ma certamente rientrano nei sistemi complessi le motivazioni che inducono a credere in Dio e così anche i diversi livelli di fede, e il disparato livello culturale dei credenti di qualsiasi religione. Non tutti hanno una fede incrollabile, a volte essa poggia su basi fragilissime. Un genitore che perde un figlio è quasi obbligato a credere per non cadere nella disperazione, anche se a volte la percezione che nulla esista è un’ipotesi messa in conto e allora lo sconforto annienta.
Il professor Parisi è un premio Nobel e tante persone, soprattutto se con un livello di istruzione basso (sempre per via dei sistemi complessi) potrebbero pensare che un Nobel ha sempre ragione. A questa gente, così, toglie qualunque illusione o, per dirla in parole più crude, dà una mazzata in testa, infatti le persone la cui fede vacilla ma che trovano conforto e speranza sapendo che i propri cari vivono una dimensione forse migliore di questa terrena, tornano nel loro buio. Se lo dice Parisi, sarà così. Io sono una di quelle persone, che crede e non crede, che spera, che cerca la sua àncora di salvezza. Forse sono una che non crede, ma vuole credere. Una che Dio lo cerca, che spera di incontrarlo e ci spera ogni attimo.
Sono un’insegnante in pensione, sufficientemente colta ma non abbastanza da non pensare che il pensiero del professor Parisi non mi abbia in qualche modo messa in crisi. E voglio che sappia che ha abbattuto i miei pensieri più positivi, quei pensieri che soffiavano come un vento leggero e che mi facevano dire: «Forse un giorno incontrerò Giulio, Francesco, mio padre, mia madre. Forse loro sanno che non volevo ferirli quando li ho feriti e a loro rivolgo le mie preghiere e li ringrazio sempre per essere stati nella mia vita. Sento che mi ascoltano, sento che mi perdonano». Perciò, ora, una preghiera la rivolgo all’illustre professore: ci sono tante persone come me, che hanno bisogno di conferme, forse di illusione. Professor Parisi non spenga in loro la speranza. Magari è vero che Dio non esiste, ma non lo dica pubblicamente.
Gabriella Caruso
La sua lettera è toccante, gentile e cara professoressa Caruso. E se Giorgio Parisi la leggerà, come spero, avrà nuova conferma del potere-dovere che, anche quando non si parla ex cathedra della propria specifica materia, sempre impone la condizione di “maestro”. Una condizione che gli è propria e che il premio Nobel consacra definitivamente. «Dio, per me, non è neanche un’ipotesi» è una frase lapidaria, o come lei dice “tombale”, del professor Parisi che è stata resa famosa da una bella intervista che Antonio Gnoli realizzò undici anni fa su “la Repubblica”.
Devo confessarle che mi colpì anche allora, ma non mi fece particolare effetto. Forse perché constato ogni giorno, da persona credente e pensante quale cerco di essere, che viviamo tempi spesso creduloni, ma più che mai increduli. E i vertiginosi, e spesso disastrosi, effetti di tale inclinazione purtroppo si vedono. Mentre si nega Dio, si bestemmia in molti modi l’umanità. Così come ogni volta che si nega l’umanità, si bestemmia Dio.
Non è ovviamente il caso del professor Parisi, ma di altri che molte volte dissimulano o fingono ritualmente di avere fede, ma che in realtà – come si dice dalle mie parti – «non credono neanche al pancotto». Cioè non credono in niente e per niente hanno vero rispetto. Per questo, in genere, e fatte salve maniere buone o almeno decenti, preferisco sempre quelli che parlano diretto e chiaro. Ma soprattutto stimo immensamente quelli e quelle che, come lei, gentile signora, non smettono di cercare. E che sanno pregare per amore e per speranza.
La saluto restituendole, capovolta, la sua frase finale: magari è vero che Dio esiste. Proviamo a dircelo anche pubblicamente. Vivere etsi Deus daretur non rende automaticamente migliori, ma aiuta a essere meno presuntuosi e un po’ più fraterni tra di noi. E la mia piccola esperienza mi dice che fare i conti col mistero di Dio e misurarsi con l’idea di un Amore creatore – e saperlo fare con pura e semplice apertura mentale oltre che con generosità nei confronti dei vivi e dei morti – rende più salda la preziosa regola di buona volontà che custodisce la nostra stessa esistenza e rende (e mantiene) abitabile la «casa comune» che ci è stata affidata.