Caro direttore,
di Difesa comune europea tutti ne parlano, molti la invocano, ma nei fatti nessuno rinuncia alla propria autonomia politica e militare pur nella consapevolezza che se non si inizia adesso a realizzarla, forte è il rischio, se non la certezza, che non si farà mai. Ecco perché è giusto dire: adesso o mai più.
A conferma che non sono stati fatti passi in avanti significativi negli ultimi decenni è sufficiente ricordare che il prossimo 27 maggio saranno esattamente settant’anni dalla firma del Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa; percorso iniziato con tante aspettative ma che si è arenato due anni dopo, il 30 agosto 1954, con la bocciatura dell’accordo da parte del Parlamento francese. L’europeista e politico belga Paul-Henry Spaak, più volte ministro degli Esteri e primo ministro, nelle sue memorie scrisse che «il ritiro spettacolare dell’idea di integrazione non può essere interpretata come un fallimento definitivo...». Inutile dire che, almeno fino a oggi, i fatti hanno dato torto al pensiero di Spaak. La tragedia provocata dall’invasione russa dell’Ucraina e il successo di Macron alle recenti elezioni in Francia hanno però avuto l’effetto di rendere possibile un’unità di intenti tra i Paesi Ue che in passato non si era mai vista. La «Bussola strategica» approvata dal Consiglio Europeo ne è un esempio. L’obiettivo stabilito per i prossimi otto anni è la creazione di una «cultura strategica comune» tesa a rafforzare la politica di sicurezza e difesa comune della Ue e a porre fine alle rivalità tra gli Stati membri in materia di difesa. Una Ue più forte e più efficace in materia di sicurezza e difesa può contribuire non solo alla sicurezza continentale ma anche a quella transatlantica e globale. Con l’obiettivo non di spendere di più, ma di spendere meglio, evitando le attuali spese inutili, duplicazioni decisionali e contrapposizioni tra singoli Paesi.
La «Bussola strategica» indica diversi obiettivi tra cui una forte e rapida capacità di dispiegamento di forze Ue in caso di una crisi internazionale, il regolare svolgimento di esercitazioni, il potenziamento delle capacità di analisi dell’Intelligence e lo sviluppo di strumenti comuni per combattere la manipolazione e le 'fake news' provenienti da potenze straniere. Alcune di queste iniziative erano già presenti nell’accordo di settant’anni fa e questo dimostra anche la lungimiranza di figure con Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli che si impegnarono per la definizione del Trattato che consideravano un importante strumento per uno sviluppo autenticamente federalista dell’Europa. Il Trattato Ced del 1952 indicava come principale elemento politico il conferimento da parte di tutti i Paesi firmatari di una po’ della loro sovranità in materia di difesa a beneficio di una Alta Autorità chiamata Commissariato. È facile cogliere i germogli di una vera e autentica unità politica tra i Paesi firmatari con un obiettivo veramente sovranazionale; forse anche per questo il Parlamento francese ne bloccò l’attuazione. Sappiamo come nei decenni successivi il cammino d’integrazione europea si sia concentrato principalmente sugli aspetti legati all’economia. Ma senza integrazione politica l’integrazione economica manca di una componente fondamentale. La stessa politica di difesa deve essere accompagnata da un altrettanto forte impegno su un’unica e vera politica estera comune.
Anche per questo condivido e sottoscrivo l’appello perché venga istituito un Servizio civile obbligatorio europeo contenuto nella lettera aperta ai vertici Ue e italiani promossa dalle firmatarie di 'Se non ora quando-Libere', che proprio 'Avvenire' ha pubblicato. I tempi sono maturi perché diventi realtà anche quella «'seconda gamba' di difesa civile e nonviolenta», come lei l’ha definita, direttore Tarquinio, che affianchi quella di difesa militare.
Ne abbiamo bisogno per far crescere un autentico spirito di cittadinanza europea che veda affiancati diritti e doveri. Tra i giovani, ma non solo tra i giovani, emerge sempre di più la richiesta di nuovi strumenti per far maturare, e rafforzare, l’appartenenza all’Unione Europea.
Per far questo è importante essere innovativi ma anche non dimenticare le lezioni dei padri fondatori dell’Europa recuperando quanto di buono prevedevano sia il Trattato del 1952 sia le proposte e le riflessioni maturate successivamente come, ad esempio, proprio il Servizio civile europeo. Dobbiamo avere il coraggio di rendere concreta quella visione che guarda a un futuro comune di pace e sicurezza.
Vicepresidente Commissione Affari costituzionali del Parlamento Europeo