La bozza del decreto antidelocalizzazioni in discussione in questi giorni riprende il tema fondamentale della conciliazione tra esigenze di creazione di valore economico, dignità del lavoro e bene comune nel sistema attuale. Nella competizione globale, le aziende che scelgono dove localizzarsi con l’obiettivo di massimizzare il profitto lo fanno cercando di minimizzare i costi (fiscali, ambientali, del lavoro). In questo modo rischiano di mettere in competizione i diversi Paesi in una 'guerra dei prezzi' che li spinge a cercare di offrire condizioni sempre migliori dei territori concorrenti riducendo costi del lavoro, di tutela ambientale e fiscali. Il risultato finale è una corsa al ribasso ( race to the bottom) su tutela dei diritti dei lavoratori che ci porta fuori dal percorso della sostenibilità ambientale e fiscale.
Non è sempre e soltanto così, per fortuna.
Ci sono imprenditori che hanno a cuore la sorte dei propri lavoratori, aziende che sviluppano vantaggi competitivi fondati sulla qualità, sulla responsabilità sociale e ambientale e non sulla guerra dei costi, ci sono territori che attraverso la qualità dei servizi forniti risultano più attrattivi di quelli che fanno ingiusti sconti sui diritti.
Eppure la corsa al ribasso (soprattutto per filiali estere di multinazionali con sede in altri Paesi) esiste, e storie come quelle di Gnk che, senza essere in crisi, chiude l’azienda e licenzia i lavoratori con un messaggino digitale per spostare la produzione altrove e aumentare il tasso di profitto accadono e sono accadute. La bozza in discussione proporrebbe di aumentare i costi di delocalizzazione (per esempio aumentando i contributi alla Cassa integrazione guadagni, Cig) per le imprese che, avendo ricevuto soldi pubblici, delocalizzano pur non essendo in crisi. Il problema di questa proposta nella logica della competizione globale è che l’aumento del costo di delocalizzazione comporta anche un aumento del costo di localizzazione. Le aziende, sapendo della penalità in caso di uscita dal Paese, potrebbero preferire di localizzarsi altrove. Quello che bisognerebbe riuscire a fare è aumentare i costi di delocalizzazione senza rendere per questo la localizzazione nel nostro Paese meno attrattiva o, più semplicemente, riuscire ad annullare i vantaggi di una politica di delocalizzazione come quella realizzata da Gnk. Una via maestra che l’Unione Europea ha iniziato a percorrere (come via prevista per il finanziamento del Pnrr e con il programma 'Fit for 55') è quella del Border Adjustment Mechanism.
Secondo questo approccio ogni prodotto realizzato oltre i confini comunitari che non avrà standard minimi ambientali dovrà pagare la differenza rispetto ai costi sostenuti dai concorrenti comunitari con un’imposta aggiuntiva sui consumi.
Si apre su questo punto la possibilità di una sponda oltreoceano perché negli Stati Uniti il Border Adjustment Mechanismha raggiunto un sostegno mai realizzato prima con una dichiarazione congiunta firmata da 3.500 economisti, tra cui 28 premi Nobel e 4 ex presidenti della Federal Reserve: Economists’ Statement on Carbon Dividends Organized by the Climate Leadership Council (econstatement. org). Ciò che sarebbe opportuno fare è estendere questi meccanismi alla sostenibilità sociale e non solo a quella ambientale. Un’altra ipotesi, peraltro discussa nella bozza, è quella di creare delle «liste nere» ( blacklist) di aziende che hanno adottato comportamenti 'predatori' in materia di delocalizzazione. Il valore dell’informazione sulla sostenibilità sociale delle imprese è sottovalutato ma è in realtà molto importante. I fondi d’investimento e i cittadini manifestano una sensibilità crescente nel tener conto della sostenibilità sociale e ambientale come fattore di reputazione e minor rischio per imprese e prodotti. Infine, sempre nella logica di scindere la penalità nel delocalizzare dalla riduzione di attrattività di investire nel nostro Paese, i benefici fiscali derivanti dalla localizzazione non dovrebbero essere acquisiti subito ma potrebbero essere distribuiti nel tempo in modo da disincentivare l’uscita. La bozza proposta dal governo Draghi ha il grande merito di mettere al centro della discussione un tema assolutamente decisivo per cercare di conciliare le esigenze della creazione di valore economico e quelle della dignità della persona e del bene comune a cui dovrebbero essere subordinate e finalizzate. Il dibattito e la considerazione della ricchezza dei diversi punti di vista può aiutarci a trovare sintesi ulteriori e migliori.
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