La politica si occupa spesso di scuola, ma non sempre lo fa con le competenze necessarie né con la dovuta dose di prudenza, quando si tratta di prendere decisioni che possono avere un forte impatto sul futuro delle nuove generazioni. Sta facendo discutere, destando allarme presso gli addetti ai lavori, una proposta di legge presentata lo scorso 17 gennaio alla Camera da alcuni deputati di Fratelli d’Italia, primo firmatario Federico Mollicone.
Essa prevede che dal prossimo anno scolastico, cioè da settembre 2019, i libri di testo siano esclusivamente digitali. Oggi vengono adottati libri per lo più in formato 'misto' (cartaceo e digitale), mentre le classi in cui vengono utilizzati libri in formato elettronico sono soltanto l’1% del totale. L’idea alla base della proposta di legge è che la strada di una completa digitalizzazione della didattica sia da percorrere senza remore. Insomma, mentre fino a oggi i provvedimenti legislativi emanati suggerivano una graduale introduzione delle novità digitali nella pratica scolastica, ora si pretende che il cambiamento sia rapidissimo, anzi immediato. L’impressione – sia consentito di dirlo con franchezza – è che i promotori della proposta di legge conoscano molto poco la materia di cui trattano.
Ricordo solo un dato persino banale: le copie saggio dei libri di testo adottabili dal prossimo anno scolastico vengono portate in queste settimane nelle scuole per essere visionate dai docenti chiamati a sceglierli. Insomma, sono stati già prodotti, realizzati e stampati, appunto in forma 'mista' (come previsto dalle attuali disposizioni di legge), cartacea e digitale.
Che cosa succederebbe se dovesse passare in tempo utile la proposta dell’onorevole Mollicone? Andrebbero mandate al macero le centinaia di migliaia di copie dei nuovi volumi già stampati (per un valore complessivo di milioni di euro)? E che cosa accadrebbe delle scelte che i docenti compiranno nelle prossime settimane sulla base dei volumi ora disponibili? Queste semplici osservazioni fanno facilmente capire che si tratta di una proposta irrealizzabile, almeno con la tempistica prospettata. Forse è solo un ballon d’essai per saggiare le reazioni su una materia che continua a essere controversa. Tuttavia il problema principale non riguarda solo i tempi, ma prima ancora il merito della questione.
Sulla base dell’esperienza diretta, molte scuole dove si era provato ad adottare libri solo digitali sono tornate ai libri cartacei, perché lo hanno chiesto gli stessi studenti (si badi: tutti 'nativi digitali') che facevano fatica a studiare su pc, tablet e smartphone. Inoltre, il gruppo internazionale di lavoro E-read – che ha raccolto più di 200 ricercatori (linguisti, neuroscienziati, letterati) per indagare pregi e difetti della lettura digitale – ha pubblicato i risultati di uno studio approfondito (di cui ha dato conto Lorenzo Tomasin sul 'Sole24ore'), evidenziando conclusioni molto chiare. In particolare, si afferma che la lettura su schermo presenta netti svantaggi nei termini della possibilità di una lettura approfondita del testo, determinando facilmente cali di concentrazione e una lettura 'selettiva' (cioè superficiale), rispetto alla tradizionale lettura su supporto cartaceo. Del resto, l’allarme degli esperti non è nuovo. Già qualche anno fa il neuroscienziato tedesco Manfred Spitzer, autore di un volume significativamente intitolato Demenza digitale (tradotto in Italia da Corbaccio), scriveva, a partire da una vasta mole di dati e di documentazione, che «le tecnologie informatiche digitali distraggono e compromettono la concentrazione e l’attenzione.
Ostacolano i processi formativi, invece di agevolarli come spesso si afferma. A tal riguardo, gli studi sull’introduzione dei computer a lezione sono deludenti o addirittura imbarazzanti e non giustificano in alcun modo gli investimenti sulle tecnologie informatiche digitali». Ciò non significa, per quanto ci riguarda, che le novità tecnologiche vadano bandite dalla scuola. Si tratta però di integrarle con equilibrio nell’esistente, utilizzandole per quanto di buono essere possono apportare all’efficacia del lavoro didattico e di apprendimento, ma senza idolatrarle o assolutizzarne il presunto valore risolutivo. L’invito che rivolgiamo ai nostri politici, insomma, è quello a maneggiare con cura materie delicate, per evitare che la smania di innovazione a tutti i costi determini cambiamenti che alla fine risultino peggiorativi.