Tradizione e turtlén dell’accoglienza
mercoledì 2 ottobre 2019

La verità è che siamo un popolo di santi, poeti, navigatori. E pastai. Soprattutto pastai. Possiamo accettare tutto, i grattacieli del centro comprati dall’emiro con le tasche gonfie di petrodollari, le navi giganti che fanno tremare Venezia e San Marco, le maglie della squadra del cuore maltrattate dallo sponsor ma guai a mettere in dubbio il guanciale nell’amatriciana. O la ricetta della gricia. Se poi si tratta dei tortellini a Bologna, allora in ballo c’è qualcosa di più.

A essere messa in discussione è l’identità stessa di un popolo, di una città. Perché va bene tutto, ok il dibattito culturale o il confronto tra fedi diverse, ma la tradizione non si tocca. E da che mondo è mondo il tortellino bolognese si riempie con un misto di carni di maiale, parmigiano reggiano, uova e noce moscata. Il resto è roba tarocca, da turisti mordi e fuggi, quelli con le papille gustative atrofizzate dai troppi fast food. Almeno questa è la tesi della difesa, che nel caso del turtlén va all’attacco.

Intorno alla ricetta del tortellino infatti si gioca una vera e propria battaglia culturale o forse, più banalmente, politica. Il punto di partenza, l’avvio della polemica riguarda la decisione della Chiesa felsinea di offrire venerdì prossimo per la festa patronale di San Petronio “anche” il tortellino dell’accoglienza, riempito di carne di pollo. In modo che lo possa assaggiare chi, per motivi di salute o religiosi, non consuma prodotti a base di maiale o troppo grassi.

Nella notizia, che in realtà non c’è, l“anche” è decisivo, è fondamentale la congiunzione che nel nostro caso è una doppia e, non una duplice “o”. I tortellini verranno infatti offerti “e” nella forma tradizionale “e” in quella “nuova” senza che la seconda escluda la prima. Anzi, spiegano gli organizzatori della festa, a fronte di quasi 500 chili dalla lavorazione tradizionale e di un altro quintale “preparato” in diretta, quelli con il ripieno alternativo saranno due, tre kg al massimo.

Una scelta che guarda in primis agli anziani, chi cioè spesso per motivi di salute deve privilegiare piatti leggeri. E che solo secondariamente potrebbe coinvolgere anche quanti non mangiano maiale per motivi di fede. In questo senso la forma del tortellino, con il suo dolce e saporito richiamo all’abbraccio, è perfetta. Si chiama cultura dell’incontro, tavola della condivisione, meglio ancora “convivialità delle differenze” dove le diversità conciliate arricchiscono una tavolozza di nuovi colori. Uno stile di accoglienza in cui l’ospitante invita l’ospite a partecipare della sua tradizione per aiutarlo nel difficile percorso di inserimento nella nuova realtà.

Ma senza rinunciarvi affatto. Se poi si vuole polemizzare, se lo spirito è quello di usare ogni pretesto per combattere chi rifiuta di barricarsi dietro i muri, per difendere i buoni, cioè noi occidentali, dai cattivi che sono tutti gli altri, allora può funzionare anche l’innocua ricetta della pasta. «Alcune polemiche e strumentalizzazioni non sono accettabili neanche in campagna elettorale», ha sottolineato in una nota l’arcidiocesi di Bologna, definendo «sorprendente che una fake new sia utilizzata per confondere» e «che una normale regola di accoglienza e di riguardo verso gli invitati sia interpretata come offesa alla tradizione». Il problema è che siamo in un Paese in perenne agone pre-elettorale in cui la ragione finisce in balìa dell’emotività e la capacità raziocinante si arrende al pregiudizio senza fondamento, alla chiusura totalmente immotivata.


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A Bologna infatti, dove nel 1661 il cardinale Farnese emise il bando contro la contraffazione della mortadella con tanto di pene pecuniarie e corporali, nessuno mette in discussione la tradizione. «La preoccupazione – continua il comunicato della Chiesa di Bologna – è che tutti possano partecipare alla festa, anche chi ha problemi o altre abitudini alimentari o motivi religiosi». La “rivoluzione” cultural gastronomica, la notizia sconvolgente insomma non c’è. O comunque va drasticamente ridimensionata. Furbo e spregiudicato chi la utilizza per creare divisioni e infamare l’avversario, o presunto tale. Polli noi a farci coinvolgere nel dibattito pro o contro la tradizione. E il ripieno dei tortellini non c’entra.

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