Nella sorprendente stagione della pandemia e del Pnrr siamo entrati in una fase nuova e unica per il Paese passando dalla scarsità all’abbondanza di risorse finanziarie per gli investimenti. Purtroppo però mancano troppi decreti attuativi e la nostra macchina amministrativa non sembra in grado di reggere il passo per mettere questi finanziamenti a terra, ovvero finalizzare progetti entro le date richieste. In Europa, l’Italia è penultima in termini di capacità di spesa. La Corte dei Conti ci suggerisce che fra il 2020 e il 2022 è stata spesa solo la metà delle risorse programmate. È un po’ come se si chiedesse a una utilitaria di muoversi dall’oggi al domani alla velocità di una macchina di Formula Uno. Preso atto della situazione, in queste settimane il dibattito pubblico si sta interrogando su come risolvere l’impasse. Varie sono le soluzioni proposte: cambiare obiettivi e progetti, chiedere dilazione nei tempi o, in extrema ratio, assegnare i fondi alle aziende controllate dallo Stato che godono di strutture e processi più idonei alla mole di attività richiesta. Ma anche quest’ultima soluzione può non essere sufficiente a utilizzare l’enorme quantità di denaro che il nuovo governo vorrebbe evitare di perdere.
Occorrono quindi idee rapidamente cantierabili con basso rischio di rallentamenti burocratici e con un chiaro vantaggio per l’Italia e per l’Europa che ci finanzia. La transizione ecologica e l’indipendenza energetica sono temi chiave per il nostro continente e il supporto alle imprese che soffrono per i costi dell’energia e per la crisi, in risposta anche alla sfida cinese e americana dove Biden con l’Inflation Reduction Act ha messo in campo risorse ingenti per la transizione ecologica che sostengono la competitività delle proprie imprese. Secondo le stime Eurostat, nel 2022 le aziende italiane hanno pagato un costo dell’energia tra i più alti; il 60% in più rispetto alla media europea. La nostra storia insegna che siamo stati di fatto dipendenti dai produttori di fonti fossili che fanno il bello e il cattivo tempo, e in due episodi storici (fine anni 70 con la crisi petrolifera, e lo scorso anno con la crisi del gas) hanno prodotto ondate inflattive che hanno messo in crisi famiglie e imprese.
La bella notizia è che questa dipendenza può e deve finire, anzi, sta finendo.
Negli ultimi 13 anni il prezzo dei pannelli fotovoltaici si è ridotto di oltre il 90% e la produzione di capacità installata nel mondo ogni anno supera di gran lunga le aspettative pur ottimistiche dell’Agenzia internazionale del clima . Grazie agli incentivi nel settore residenziale, nel 2022 le installazioni di pannelli hanno avuto un incremento di potenza installata del 150%. È una buona notizia per l’ambiente, anche se le risorse potevano essere impiegate ancora più efficacemente. L’impianto fotovoltaico produce di giorno quando il consumo residenziale è scarso. L’energia elettrica prodotta in eccesso va immagazzinata, e questo richiede costi aggiuntivi per l’acquisto di batterie di stoccaggio. Diverso è il quadro dei pannelli installati su capannoni industriali. In questo caso, l’energia prodotta di giorno viene sostanzialmente consumata in loco con percentuali maggiori di autoconsumo. Peraltro, l’installazione di pannelli su tetti piani ha costi molto bassi e quindi un ottimo rapporto fra investimento e ritorno economico dovuto alla produzione di energia elettrica. Purtroppo, a oggi i finanziamenti nel fotovoltaico sono sostanzialmente limitati al residenziale, se si eccettua qualche lodevole eccezione (agrivoltaico e un fondo di qualche centinaio di milioni per le imprese).
Il nostro suggerimento è che una quota significativa di fondi del Pnrr da ricollocare possa trovare opportuna collocazione nel finanziamento di sistemi fotovoltaici per l’industria. Una proposta in grado di risolvere diversi problemi. Se si crea per esempio un credito d’imposta per le imprese che installano pannelli sui propri solai, i fondi possono essere spesi rapidamente nei tempi previsti con impatto diretto sull’ambiente, e nello stesso tempo possono ridurre la distorsione competitiva che le nostre imprese subiscono per il costo maggiorato dell’energia rispetto agli altri Paesi. Il credito di imposta evita l’assegnazione dei fondi attraverso gare pubbliche che rischiano di essere incompatibili con i tempi limitati del Pnrr. Le nuove norme semplificate che governano le installazioni non costituiscono più un rischio per i tempi di realizzazione. Allo stesso tempo superiamo un’altra grande obiezione alle rinnovabili: quella della tutela del paesaggio, perché non si consuma né si deturpa il territorio coprendo i solai dei capannoni. La soluzione produce poi automaticamente una ricaduta sul territorio in termini occupazionali. Le opere di installazione dei pannelli ad alta intensità di lavoro costituiscono infatti il 50% del costo di impianto. Si può anche ipotizzare che, grazie al vantaggioso schema delle comunità energetiche, le aziende cederanno parte della energia al territorio e ai suoi abitanti.
Facciamo quindi due conti: 3 miliardi di euro all’anno messi a disposizione dallo Stato come credito d’imposta al 30% per le imprese che installano pannelli sui loro solai equivalgono a circa 10 gigawatt installati. Continuando con lo stesso ritmo di installazione avremmo la possibilità di raggiungere gli obiettivi di rinnovabili previsti dal nostro piano nazionale per il 2030 solo con questa misura. Anche per le imprese il vantaggio sarebbe significativo: rapido ritorno degli investimenti (meno di 2/4 anni a seconda della tipologia e della collocazione geografica dell’impianto) e poi energia sostanzialmente gratis per i successivi 20 anni. Il Paese nel suo complesso risparmierebbe in combustibili fossili riducendo la dipendenza energetica dai Paesi esteri.
In sintesi, da una parte c’è una quota dei finanziamenti del Pnrr a cui dovremo quasi certamente rinunciare perché la nostra macchina amministrativa non è compatibile con i tempi richiesti. In alternativa, con la proposta suggerita possiamo non rinunciare a questi soldi aiutando l’ambiente, le imprese e cittadini: quale la soluzione preferibile?