venerdì 28 settembre 2012
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​Caro direttore,
non passa giorno che gli argomenti "fine vita" e/o "Dat" vengano dibattuti. Sabato 15 settembre argomentazioni su due colonne per rispondere al direttore di Radio Radicale. Ne valeva la pena? Pensa che gli ascoltatori di quella radio comperino "Avvenire" per tentare di capire come stanno le cose e le sue e nostre ragioni? Lasciali perdere! Nel vero senso delle parole. Non ci si vuole convincere che la tragica deliberazione della Corte di Cassazione che ha consentito di non alimentare più la povera Eluana per farla morire, era ed è stata una sentenza incostituzionale. Tanto che ormai la si definisce una sentenza "creativa". Appunto non contemplata, anzi, in contrasto con i principi ispiratori (e ben scritti), nel nostro ordinamento. E qui né il presidente del Csm, ovvero il presidente della Repubblica né il suo vice di allora mossero un dito per "richiamare" quei magistrati al rispetto della legge e della Carta. Non a interpretarla o ad allargarla. E ora facciamo – anzi fanno – la legge sulle Dat, per sopperire alla voragine aperta da quella vicenda giudiziaria. Ne vedremo delle belle. Anzi di brutte e cattive. Personalmente spero che tale legge resti nel cassetto. Sarà invece una sicura pacchia (economica e promozionale) per avvocati, magistrati, medici… Ma non sanno questi "soloni della giustizia" che il medico deve curare, e che il dar da bere e da mangiare agli affamati, specie se sono ammalati, è un dovere di tutti e non solo dei cristiani? E non sanno che per morire non serve la legge e tantomeno un ordine del magistrato? Quanto alle leggi, perché non si impara a essere concisi e chiari? Si prenda l’esempio dei Dieci Comandamenti. Sono oltre 2 millenni che esistono. Sono lunghi una riga, chiarissimi e per nulla usurati, anche se poco messi in pratica. E bisogna dire un grande grazie al movimento ecclesiale Rinnovamento dello Spirito che li sta proponendo in dieci piazze di altrettante città italiane. Bravi! Rileggiamoli e rifacciamoli imparare ai bambini. A proposito, si insegnano ancora le preghiere e le Verità della nostra fede? Un caro saluto
Luigi Cantù, Ronco Briantino (Mb)
Non una parola appropriata è inutile, caro Cantù. Non una testimonianza. Non un errore segnalato, corretto e anche auto-corretto. Non uno sforzo orientato a colmare le "voragini" aperte ad arte con le più diverse intenzioni, ma purtroppo destinate a far smottare i cardini di una civiltà umana e giuridica che appartiene a tutti, credenti e non credenti. Niente di tutto questo è vano. Tutto serve e tutte le parole – che sono semi – prima o poi portano frutto. Certo, il male esiste e c’inganna o anche solo ci appanna lo sguardo. Tuttavia, caro amico, non ci si può arrendere, non si deve rinunciare al confronto schietto e bisogna continuare la buona semina (questo dice, del resto, anche la conclusione dolce-amara della sua vibrante lettera). La gente non è stupida e scopre, alla lunga, persino le menzogne meglio raccontate e più applaudite. E alla fine si rende conto di certe gigantesche bugie, come quelle spacciate quando si cerca di barare in modo sistematico sulla vita e sulla morte delle persone, di travestire di "compassione" e di "diritto di libertà" persino il rifiuto, l’abbandono e la manipolazione cinica dei più deboli, dei malati, dei lontani dai proclamati canoni di normalità, degli "imperfetti". Sta accadendo di nuovo, in questo nostro tempo, in modo (come già tante volte nella storia umana) altezzoso o "modernamente" suadente. Ma sono così grosse, queste bugie, che finiscono per avere le gambe più corte del solito. Si consumano, infatti, nella concreta esperienza di amore e di solidarietà delle persone, nella semplicità delle verità che non hanno bisogno di articoli e commi per essere capite e vissute. Ma anche gli articoli e i commi possono essere utili e non dobbiamo rinunciare a usare anche quelli, noi e tutti coloro che condividono con noi cristiani l’etica della vita e della responsabilità: ecco perché dico e ripeto che merita di essere democraticamente approvata la legge sul "fine vita" che il Parlamento ha tanto approfondito e lavorato.
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