Gentile direttore,
le scrivo dopo aver visto la sua risposta alla lettera di don Giuseppe Lorizio dell’Università Lateranense. Ho trovato sia l’intervento di don Lorizio che la sua risposta assolutamente esaustive nel sottolineare le problematiche che caratterizzano oggigiorno i dibattiti su temi tanto delicati quanto importanti come le discriminazioni, le libertà, i diritti e il recentissimo, benché non ultimo in lista, ddl Zan. A tal proposito, volevo condividere con lei un pensiero che, devo ammettere, sta diventando per me sempre più frustrante. L’impressione è che a fomentare divisioni, polarizzazioni, disinformazione e quant’altro contribuisca, in maniera a mio parere alquanto rilevante, gran parte della stampa e del giornalismo. Leggo sempre di più titoli e articoli fuorvianti, imprecisi, con utilizzo di parole che richiamano il sensazionalismo e che ci fanno sembrare di vivere dentro film di spionaggio e di guerre. Articoli e titoli che finiscono per dare informazioni errate solo per poter aumentare i “mi piace” e i follower – perché ormai dibattiti, conversazioni e scambi di opinione su temi importanti per la vita della persona umana si sono ridotti semplicemente al numero di follower che uno possiede nei propri profili sui social media. Se sui social media sei importante, allora la tua opinione vale tanto, la supportiamo e la facciamo conoscere; se non è così, beh allora rimarrai in disparte, con il rischio di essere etichettati come illiberali, antiprogressisti e bigotti. In conclusione, mi chiedo se non sia arrivato il momento per il mondo giornalistico di fare una riflessione seria su come il giornalismo stia gestendo la selezione e la diffusione dell’informazione.
Giulia Grillo, University of Kent Canterbury, Regno Unito
Innanzi tutto, gentile lettrice, devo dirle che amo profondamente la limpida diversità di opinione e i diversi registri informativi. E non è soltanto un amore da addetto ai lavori (con quattro decenni di giornalismo alle spalle), ma prima di tutto da lettore. Detto questo, condivido la sua amarezza. Raramente come a proposito del ddl Zan ho visto un’attenzione meno acuta e meno aperta da parte dei media. Asfittica e “codina” perché pregiudizialmente selettiva di informazione e opinioni col risultato di ridurre il dibattito alla caricatura di una battaglia tra gay friendly e omofobi. Sembra non solo che la complessità delle questioni disturbi, ma anche che in questo caso a un retroscenismo “tanto al chilo” sia concesso di imperversare allegramente, ammiccando alle semplificazioni aggressive di certi dibattiti sui social. È una ferita aperta che noi giornalisti cureremo solo quando ammetteremo che esiste. Non mitizzo il modello anglosassone, che lei certo conosce meglio di me. Ma so che non possiamo far finta di niente, se vogliamo che il nostro mestiere al servizio della gente continui ad avere senso...