Caro direttore, si afferma ripetutamente sia nei tg che sui giornali che la “nota verbale”, che monsignor Paul Richard Gallagher, responsabile dei Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, rappresenta la prima volta in cui la Santa Sede interviene su una proposta legislativa, richiamando lo Stato Italiano al rispetto del Concordato. A me pare che si dimentichi così che nel 1931 ci fu un grosso scontro fra la Santa Sede e Benito Mussolini proprio perché la Santa Sede pretese il rispetto delle norme del Concordato, firmato nel 1929. Mussolini, infatti, aveva tentato di sopprimere l’Azione Cattolica e di intervenire nelle Istituzioni Cattoliche perché stava avocando allo Stato, cioè al Fascismo, il diritto di educare i giovani. Lo scontro fu “al calor bianco”. Pio XI il 29 giugno 1931 pubblicò la grande enciclica Non abbiamo bisogno nella quale affermava: “[il fascismo e?] una vera e propria statolatria pagana, non meno in contrasto con i diritti naturali della famiglia che con i diritti soprannaturali della Chiesa».
E continuava: «Una concezione dello Stato che gli fa appartenere le giovani generazioni interamente e senza eccezione dalla prima età fino all’età adulta, non è conciliabile per un cattolico colla dottrina cattolica, e neanche è conciliabile col diritto naturale della famiglia. Non è per un cattolico conciliabile con la cattolica dottrina pretendere che la Chiesa, il Papa, devono limitarsi alle pratiche esterne di religione (Messa e Sacramenti), e che il resto della educazione appartiene totalmente allo Stato». Ma c’è di più. La Diocesi di Padova festeggiava il 13 giugno 1931 il 700° anniversario della morte di sant’Antonio. Erano programmate grandi manifestazioni cittadine. Ma già da maggio 1931 i fascisti avevano tentato di occupare i Patronati della Città di Padova. Io ricordo che i miei amici, più anziani di me, raccontavano di avere dormito all’interno del Patronato di S. Benedetto, la Parrocchia del Quartiere di Savonarola, per impedire anche con la forza azioni di saccheggio degli squadristi. Mussolini vietò ogni celebrazione Antoniana cittadina. Il vescovo di Padova, monsignor Elia Dalla Costa (1872-1961), celebrò la santa Messa solenne e partecipò alla processione interna alla Basilica. Il vescovo tenne il sermone nel quale affermò: «Il Santo protegga l’Italia di cui è vanto, la protegga nei suoi confini, nelle sue industrie, nei suoi commerci, nella sua agricoltura: la protegga soprattutto nella sua religione. Questa religione ha ispirato i sommi geni italiani della poesia, della pittura, della scultura; questa religione ha donato ai Comuni e alle Repubbliche d’Italia una gloria che non morrà: questa religione lungo il corso dei secoli ha fornito all’Italia generazioni di cristiani e schiere di santi: ora a questa religione madre a tante virtù e tante glorie devono essere educate le generazioni fanciulle, e io vescovo, voi sacerdoti, voi padri, madri, maestri, noi tutti che da Dio, dalla natura, dalla Chiesa ne ricevemmo la santa missione, noi educheremo fin che morremo, ricordando e facendo ricordare le parole tanto celebri di Silvio Pellico: “Chi grida: patria, patria, e poi la patria disonora egli stesso con indegne azioni, è un trafficante del patriottismo”». Il discorso fu pubblicato integralmente e coraggiosamente dal Bollettino parrocchiale, “La Campana di S.Benedetto”. A seguito di tale sermone, proprio in ottemperanza al Concordato, il capo del governo italiano dichiarò monsignor Dalla Costa vescovo indesiderato in Padova. Pio XI prese atto e si dichiarò d’accordo con Mussolini: trasferì Elia Dalla Costa all’arcidiocesi di Firenze e lo nominò cardinale. Nel 1952 mio nonno Everardo, vecchio operaio socialista in pensione, mi condusse a Firenze per farmi conoscere il cardinale Elia Dalla Costa in udienza privata. Le “proposte educative” intrinseche al ddl Zan quanto concordano con l’affermazione di Elia Dalla Costa: «Io vescovo, voi sacerdoti, voi padri, madri, maestri, noi tutti che da Dio, dalla natura, dalla Chiesa ne ricevemmo la santa missione, noi educheremo fin che morremo»? Grazie dell’attenzione,
Grazie, caro amico, per averci aiutato a rivivere una potente pagina di storia padovana e nazionale e la memoria di una libertà che la Chiesa novecentesca ha tenacemente cercato di custodire per sé e non solo per sé. Il cardinale Elia Dalla Costa fu infatti colui che, dando prova di creatività e coraggio, organizzò negli anni terribili della guerra fascista e dell’oppressione nazista la più famosa ed efficace rete di conventi, di artigiani e di uomini e donne di buona volontà per proteggere e cercare di far espatriare coloro, soprattutto concittadini ebrei, che dovevano farsi “clandestini” a causa delle persecuzioni razziali e politiche del regime mussoliniano. Dalla Costa, come molti ricorderanno, arruolò anche Gino Bartali come “corriere” (con la scusa degli allenamenti, tra la sua Firenze e la mia Assisi dov’era vescovo un altro grande uomo di Dio, Giuseppe Placido Nicolini). Ginettaccio nascondeva nei tubi della sua bicicletta i documenti contraffatti realizzati da due tipografi comunisti assisani (i Brizi, padre e figlio, e io sono stato amico del figlio: Trento). Ho imparato anche da questa storia che a stare dalla parte delle vittime si fa sempre la scelta giusta, anzi l’unica umanamente e cristianamente possibile. Per questo, anche se faccio sempre fatica ad accettare la moltiplicazione dei delitti e delle pene all’italiana (povero Beccaria!), ho condiviso l’idea di un’aggravante specifica per i reati d’odio contro le persone omosessuali e transessuali e sono contento che i vertici della Chiesa – come hanno confermato la Presidenza della Cei, cioè i rappresentanti di tutti i vescovi italiani, e per la sua parte il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin – abbiano dato la stessa indicazione. Ma condividere non vuol dire aderire acriticamente a qualunque operazione normativa. E il ddl Zan come abbiamo spiegato e rispiegato da un anno a questa parte, trovando preoccupazioni simili in donne e uomini di diversa storia culturale e di differente impegno pubblico e politico, è un testo “scritto male”. Anche a proposito della libertà di educare che lei, caro Costa, ha richiamato giustamente e con grande forza.
Ho sempre detto di credere alle buone intenzioni dichiarate dall’onorevole Zan, padovano anche lui come lei e, guarda un po’, come il giornalista che ha rivelato l’esistenza della riservata “nota verbale” presentata dalla Santa Sede al Ministero degli Esteri e dunque Governo italiano (al Governo! Non al Parlamento...). Ma prendo atto del fatto che il ddl che porta il suo nome è assai meno buono, e in alcuni punti - come abbiamo spiegato e rispiegato su "Avvenire" - è ambiguo e rischioso (e una norma penale non dovrebbe mai permetterselo). So anche che se venisse corretto adeguatamente, potrebbe essere votato e condiviso da una larghissima maggioranza delle Camere e del Paese. Dunque, caro amico: nihil sub sole novum (nulla di nuovo sotto al sole) o forse sì. Sì, perché oggi l’Italia è una democrazia, non un regime. E anch’io conto, come lei, di averne nuova prova.