Si tratta della sfida decisiva delle società del Mediterraneo, e non solo della sua 'sponda Sud': costruire le classi dirigenti del futuro perché le speranze fiorite in questi due anni non vadano perdute. Proprio nell’evolvere delle rivoluzioni che hanno caratterizzato le Primavere arabe, abbiamo potuto constatare come non solo gli esiti provvisori, ma persino le modalità concrete del loro svolgersi, siano in gran parte dipesi dalla presenza o meno di classi dirigenti alternative a quelle che venivano rovesciate o che si tentava di scalzare.
La parabola dei giovani di piazza Tahrir, degni esponenti della Twitter revolution, è stata per molti versi paradigmatica. Protagonisti dell’avvio della rivoluzione, partita proprio grazie al loro generoso slancio, progressivamente emarginati nelle fasi seguenti, fino a scomparire quando Esercito e Fratellanza musulmana hanno ingaggiato il loro braccio di ferro.
Una classe dirigente, d’altro canto, non s’improvvisa. Senza dover andare troppo lontano e pensando ai tanti sedicenti incubatori di ambizioni tanto smodate quanto velleitarie, lo abbiamo visto bene nella interminabile stagione della sempre incompiuta transizione italiana. Occorre tempo, occorre un metodo, occorre un «interesse disinteressato». Tutte cose che fanno parte dell’esperienza di Rondine e del suo fondatore Franco Vaccari, che in tanti anni ha imparato a raccogliere le sfide più ardue per trasformare in realtà quelli che molti considererebbero sogni irrealizzabili.
Nel corso di ormai diversi lustri, a Rondine sono state costruite storie di amicizie «impossibili » tra israeliani e libanesi, azeri e armeni, georgiani e osseti, serbo-bosniaci e musulmani di Bosnia, tutsi e hutu: trasformate in realtà grazie a un metodo di lavoro fatto di bontà, disinteresse, ma anche rigore e impegno. Storie che sono sopravvissute al rientro a casa dei loro protagonisti, diventando semi di comprensione tra popoli abituati a considerarsi nemici.
Quella che Rondine lancia nei due giorni di convegno che si chiudono oggi è una sfida nuova anche per l’associazione di Vaccari, eppure siamo sicuri che la lunga esperienza maturata nella diplomazia popolare giocherà un ruolo determinante nel successo dell’operazione. Saper guardare in fondo all’anima delle persone rappresenta comunque un atout non di poco conto, soprattutto quando ci si appresta a fornire il proprio contributo alla costruzione di una futura classe dirigente. La prospettiva del potere può infatti corrompere più di un’inizialmente nobile ambizione.
Ed ecco che allora, accanto alla consapevolezza delle qualità che si vogliono affinare e degli strumenti che si intende fornire, occorre anche un’attenzione particolare alla crescita complessiva di chi è soggetto del processo formativo.
Pensando al crollo di Mubarak, chissà quanti si saranno ricordati di come la vicenda personale dell’ultimo raìs egiziano incarnasse quella più generale della rivoluzione degli «ufficiali liberi», che avevano rovesciato la corrotta e inetta monarchia di re Faruk con lo scopo di dare una nuova classe dirigente e una speranza all’Egitto. Giunti al potere, già negli anni di Nasser quella nobile ambizione si era consumata attraverso la corsa ai privilegi, alla blindatura del proprio potere, all’insostituibilità della propria figura.
«Il potere corrompe. Il potere assoluto corrompe in modo assoluto». È una massima che non dovremmo mai dimenticare quando una rivoluzione abbatte un regime o provoca un ricambio traumatico di classi dirigenti. Nessuna di queste ultime può dirsi esente dai rischi che quell’adagio esprime.
L’unico possibile rimedio prudenziale per attenuare i rischi della corruzione del potere risiede proprio nella selezione e formazione più accurate e disinteressate possibili di giovani che serbino nel loro cuore il ricordo del modo in cui hanno intrapreso quel lungo cammino, che preservino non solo il contenuto delle lezioni cui hanno partecipato, ma soprattutto la lezione di vita dei loro maestri.