Militari proteggono un ferito tra le macerie di un edificio danneggiato da un attacco russo, a Sloviansk, nella regione di Donetsk - Reuters
La guerra cambia chi la combatte, quale che sia il ruolo. Cambia chi attacca e cambia chi viene aggredito. Ma irrompe anche nel vocabolario. La “neo” lingua del conflitto fra gli invasori venuti dalla Russia e l’Ucraina invasa dall’Armata rossa ha contribuito alla nascita di nuove parole e locuzioni, ne ha messe al bando altre, ha modificato o ampliato il significato di altre ancora, ha adottato uno stile che è per lo più “anti”. E alcune espressioni potrebbero entrare nei libri di storia o nei dizionari, a futura memoria di una vicenda bellica che oggi ha esiti del tutto incerti e minaccia involuzioni ancora più tragiche. Invasione su vasta scala In Ucraina la parola “guerra” viene spesso sostituita da un’altra espressione: “invasione su vasta scala”. Locuzione che riassume due concetti: la guerra che comincia del 2014 con gli scontri nel Donbass russofono e che il 24 febbraio 2022 Vladimir Putin estende su vasta scala, cioè a tutta l’Ucraina.
Operazione militare speciale - Sui media del Russkij Mir, il mondo russo, non esiste la guerra in Ucraina e tantomeno un’invasione di quel Paese. Esiste solo l’”operazione militare speciale” che nei siti e sui canali Telegram della Federazione è riassunta nell’acronimo “Svo”. Secondo un decreto emanato all’indomani dell’inizio dell’attacco, si rischia fino a 15 anni di carcere se vengono diffuse notizie che il Cremlino considera «disinformazione». A luglio Aleksei Gorinov, deputato del Consiglio del distretto di Krasnoselsky, è stato condannato a sette anni di reclusione per aver definito «una guerra l’operazione militare speciale » e aver sostenuto che la Russia si era trasformata in uno «Stato fascista».
Mobilitazione - Nei due Paesi il vocabolo “mobilitazione” è equivalente a coscrizione obbligatoria. Si deve andare al fronte per legge. A settembre, dopo la liberazione di una parte dei territori ucraini che in precedenza erano stati occupati dai russi, Putin ha lanciato la «mobilitazione parziale » per invertire le sorti della guerra: a fine ottobre, quando si è conclusa, gli arruolati erano 318mila.
Decolonizzazione - Via i richiami alla Russia, alla sua storia e alla sua cultura. In Ucraina cambiano i nomi delle città, delle stazioni della metropolitana o delle strade: ad esempio quelle che erano “via Mosca” o “via Eroi di Stalingrado”; vengono abbattuti i monumenti; si tolgono gli stemmi che rimandano all’Unione Sovietica. È il processo di «decolonizzazione», come viene chiamato nel Paese. Perché, è l’assunto, l’Ucraina non è una colonia di Mosca. All’operazione anti-russa hanno aderito le Ferrovie statali ucraine che assicurano di «voler eliminare nomi, segni, immagini imperiali e russe nell’intera rete».
Deoccupazione - I territori ucraini, che la Russia aveva conquistato nei primi mesi di guerra e che poi sono tornati in mano all’Ucraina con l’avanzata dell’esercito di Kiev di fine estate e d’autunno, non sono stati liberati ma «deoccupati». Singolare participio per raccontare la riappropriazione di una parte del Paese per lo più devastata o rasa al suolo come rappresaglia. Il termine «deoccupato» è figlio del suo contrario: occupato. O meglio, secondo il vocabolario ufficiale ucraino, i territori in mano ai russi sono «temporaneamente occupati».
Denazificazione - L’operazione militare speciale voluta da Putin è ostentatamente motivata con un richiamo alla Seconda guerra mondiale, all’epopea patriottica del fronte orientale. «Denazificare l’Ucraina» è il mantra. Stando alla disinformatia, il nazismo ucraino è «camuffato da desiderio di indipendenza», pilotato dagli «occidentali» («europei e filoamericani») e viene presentato come «sviluppo» mentre invece è «degrado», come ha scritto il politologo Timofey Sergeytsev su “Ria Novosti”, l’agenzia di stampa controllata dal Cremlino.
Rascismo - Inutile cercarlo sui dizionari online in italiano. Non troverete nulla. Ma il neologismo “rascismo” è già presente su Wikipedia in almeno una trentina di lingue. Nasce dalla fusione tra Russia e fascismo. In inglese è rushism; nella nostra lingua è “rascismo” oppure “ruscismo”, secondo una versione più italianeggiante. Il vocabolo è ormai di uso comune in Ucraina tanto da poter essere ascoltato durante l’intervista a un sindaco o nel dialogo con la gente. È sinonimo di crimini di guerra, di volontà d’annientamento. Ne deriva anche la parola “rascista”. Ormai i russi non sono più i “russi” ma i “rascisti”. Altro vocabolo altrettanto diffuso per indicare gli invasori è “orchi”.
Shahed - In sé è un nome proprio, perché è quello di un’azienda aeronautica iraniana. Però in Ucraina si è trasformato in nome comune e sta a indicare i droni kamikaze che con la loro testata esplosiva piombano su edifici e snodi energetici. Velivoli forniti a Mosca da Teheran per attaccare insieme con i missili. Gli Shahed hanno un’apertura alare di quasi tre metri, viaggiano a 180 chilometri all’ora e sfuggono ai sistemi di difesa aerea. Ma fanno un ronzio asfissiante che può essere sentito per strada o dentro le case. È un rumore di terrore e di morte.
Uoc - L’“Uoc” è l’acronimo (traslitterato dal russo) della Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Mosca. È la maggiore confessione cristiana del Paese aggredito. La sigla è sulla bocca di tutta la nazione non solo perché la denominazione ufficiale è troppo lunga e si può confondere con la Chiesa ortodossa dell’Ucraina che dall’Uoc si è staccata, ma soprattutto perché il patriarca di Mosca, Kirill, ha benedetto la guerra e le autorità di Kiev accusano questa comunità ecclesiale di collaborazionismo. A nulla sono valse le rassicurazioni dei vertici della Chiesa nel mirino che ripetono come fin da maggio il Sinodo abbia condannato l’aggressione e cancellato dagli statuti ogni forma di collegamento con Mosca. Il tutto mentre il Parlamento discute una legge per vietare le organizzazioni religiose legate alla Russia e nel Monastero delle grotte a Kiev, Pechersk Lavra, si scontrano a suon di grida, icone sacre e acqua benedetta i sostenitori dell’Uoc e i manifestanti anti-russi.
Neogiuliano - La guerra è arrivata fin sotto l’altare. E all’ombra del campanile si è scelto di prendere le distanze da tutto ciò che può rimandare all’invasore russo. Così la Chiesa greco-cattolica ucraina ha riformato il suo calendario liturgico. Dal primo settembre la principale comunità cristiana in comunione con Roma sarà più vicina all’Occidente e festeggerà il Natale il 25 dicembre (e non più il 7 gennaio) e l’Epifania il 6 gennaio (e non più il 19 gennaio). Finora, invece, seguiva il calendario giuliano. Quello modificato è stato ribattezzato “neogiuliano” per dire che non è più lo stesso che detta i ritmi nella maggioranza del pianeta ortodosso, compreso il patriarcato di Mosca, ma anche che non c’è omologazione con quello gregoriano della Chiesa latina.
Zeta - Dal ginnasta Ivan Kuliak che la sfoggia sul podio ai nazionalisti che la disegnano sui muri. La “Z” è il simbolo dell’invasione russa dell’Ucraina, una firma di sostegno a Putin. È stata tracciata in bianco su blindati e carri armati di Mosca. Il significato della “Z”, che non è neppure una lettera dell’alfabeto cirillico, non è mai stato chiarito. Secondo gli esperti militari, si potrebbe trattare di un modo per rendere i mezzi identificabili rispetto a quelli ucraini. Dal ministero della Difesa russo è stato affermato che sta per Za pobedu, “Per la vittoria”, motto ricorrente e popolare. Altri sostengono che alluda all’iniziale del presidente ucraino Zelensky, un po’ come si scrive il nome del nemico di turno sui missili destinati ai bombardamenti aerei.
Slava - Slava Ukraïni, ossia “Gloria all’Ucraina”, è la frase con cui si chiudono discorsi ufficiali e conversazioni private in tempo di guerra. È il saluto nazionale ucraino, di origine incerta, proibito nell’Urss, che il conflitto ha fatto salire sulla ribalta mondiale. E dire che il vocabolo Slava è identico sia in ucraino, sia in russo.
Pace - È tabù in Ucraina la parola “pace”. Non perché sia proibita ma perché non viene mai (o quasi) pronunciata. Certo non dai portavoce ufficiali. Fra le poche eccezioni ci sono le celebrazioni in chiesa dove il termine torna più volte all’interno della liturgia. Invece nell’opinione pubblica è sinonimo di resa o di concessioni territoriali a Mosca. Opzioni per il momento escluse dalla maggioranza della nazione aggredita.