martedì 14 giugno 2022
Il «patto» tra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica si apre a nuovi ingressi. Nella ridefinizione degli equilibri globali l’Europa può muoversi per un sistema multipolare
Dal movimento attorno ai Brics una mappa capovolta del potere
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La progressiva affermazione di un aggregato geoeconomico, identificato dall’acronimo Brics, formato dal Brasile, dalla Russia, dall’India, dalla Cina e dal Sudafrica, rappresenta una delle novità del processo evolutivo che ha maggiormente caratterizzato la globalizzazione dei mercati a livello planetario. Il buon esito di questa iniziativa è legata a un insieme di fattori che non andrebbero sottovalutati, soprattutto tenendo conto dell’attuale congiuntura internazionale, pesantemente segnata dalla crisi ucraina. Dal punto di vista formale, il cartello nacque il 16 giugno 2009 nella città russa di Ekaterinburg dove si svolse il primo vertice dei capi di Stato dei Paesi aderenti che allora erano quattro: Brasile, Russia, India e Cina (Bric). L’approvazione della dichiarazione finale in favore dell’instaurazione di un nuovo e più equo ordine mondiale multipolare rappresentò la risposta di questi Paesi emergenti alla grave crisi dei mercati finanziari internazionali del 2008. Si decise altresì, in quella sede, di dare cadenza almeno annuale a questi incontri al vertice.

Si delinearono da subito spazi inediti d’intervento per queste nuove potenze geoeconomiche, chiamate da un lato a competere sulla scena mondiale con i ruoli tradizionalmente svolti dagli Stati Uniti e dalle altre potenze economiche occidentali e a rivendicare, dall’altro, una leadership condivisa nell’ambito più ampio della Comunità internazionale. Il 24 dicembre 2010 il Sudafrica venne ammesso a questo cartello, rendendo il formato a cinque, con il nuovo acronimo Brics. Da rilevare che la loro esistenza era già stata prefigurata da Jim O’Neill, allora chief economist della Goldman Sachs il quale identificò in un documento (Global Economics Paper No: 66) redatto per la banca di investimenti statunitense, un nuovo aggregato geoeconomico sulla base di queste caratteristiche comuni. I paesi presi inizialmente in considerazione erano: il Brasile, la Russia, l’India e la Cina.

Secondo O’Neill queste nazioni avrebbero verosimilmente dominato l’economia mondiale del secolo appena iniziato e risultava dunque necessario inglobarle nell’economia mondiale egemonizzata dal sistema occidentale. Sta di fatto che negli anni i Brics hanno manifestato l’esigenza di esprimere posizioni unitarie nelle maggiori organizzazioni multilaterali del pianeta, intensificando le relazioni tra gli Stati affi- liati. Ma hanno anche avvertito l’esigenza di modificare l’architettura del sistema finanziario e monetario internazionale, allo scopo di ridurre il ruolo ricoperto dalla divisa statunitense, consolidando la resilienza dei Paesi aderenti, rispetto alle fughe di capitali innescate tanto da processi economici speculativi, come la riduzione degli stimoli monetari da parte della Federal Reserve o il varo di possibili strategie sanzionatorie esterne, come oggi sta avvenendo nel caso della Russia. Per consolidare questo indirizzo, nel vertice di Fortaleza del giugno 2014, i Brics diedero il via libera alla creazione della New Development Bank (Ndb), una decisione che venne giudicata da non pochi osservatori occidentali, in aperta competizione con le istituzioni di Bretton Woods (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale).

Dotata di un capitale iniziale sottoscritto di 50 miliardi di dollari con cui finanziare progetti infrastrutturali nei Paesi emergenti, la Ndb non fu l’unica novità inclusa nel trattato di Fortaleza. Venne infatti creato un fondo di 100 miliardi, denominato Cra (Contingent Reserves Arrangement), per fronteggiare improvvise crisi di liquidità come ulteriore meccanismo di difesa. Non v’è dubbio che da parte dei Paesi occidentali vi fu un errore di valutazione nel sottostimare la profezia di O’Neill e la graduale maturazione dei Brics. Certamente, ai suoi albori, appariva un polo poco coeso e molto eterogeneo per proporsi come alternativo a quello atlantista dei G7. Ma il loro ruolo nel foro del G20 è cresciuto a seguito della loro mobilitazione, diretta o indiretta, nel far fronte, a modo loro, al Global warming, al Covid-19 e al conflitto tra Russia e Ucraina. Stiamo parlando di 5 Paesi che insieme, oggi, rappresentano più del 42% della popolazione mondiale e ben il 20% del Pil planetario.

Non è un caso se lo scorso 27 maggio il portavoce del ministero degli esteri di Pechino Wang Wenbin ha dichiarato che «i Paesi membri dei Brics sono d’accordo nel rafforzare la cooperazione con i mercati emergenti e fare in modo che questi governi possano far sentire la propria voce sulle principali questioni internazionali. La Cina sostiene attivamente il processo di allargamento, promuove a questo scopo la formulazione di standard e procedure ed attende con impazienza l’adesione ai Brics di partner con un punto di vista affine». Da osservare che il giorno prima, il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov aveva dichiarato ufficialmente che l’Arabia Saudita e l’Argentina desiderano unirsi al gruppo. In effetti, queste prese di posizione fanno seguito alla recente riunione dei ministri degli affari esteri del Brics, svoltasi per via telematica lo scorso 19 maggio che, per inciso, non ha avuto grande risonanza sulla stampa occidentale, ma sulla quale è opportuno riflettere.

L’intento degli organizzatori era quello di discutere della situazione strategica globale, alla luce anche della guer- ra in Ucraina per promuovere, all’interno del Brics, un rinnovato processo di cooperazione e d’integrazione. Nella dichiarazione finale, diffusa al termine della riunione, si legge tra l’altro che «i ministri hanno ricordato le loro posizioni nazionali sulla situazione in Ucraina espresse nelle sedi appropriate, segnatamente il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Essi sostengono i negoziati tra Russia e Ucraina. Hanno anche condiviso le loro preoccupazioni per la situazione umanitaria in Ucraina e dintorni e hanno espresso il loro sostegno agli sforzi del Segretario generale delle Nazioni Unite, delle agenzie Onu e del Comitato Internazione della Croce Rossa per fornire aiuti umanitari in conformità con la risoluzione 46/182 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite». Da rilevare che nello stesso contesto si è svolta la sessione separata del gruppo «Brics Plus», che ha incluso l’Argentina, l’Egitto, l’Indonesia, il Kazakistan, la Nigeria, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Senegal e la Thailandia in rappresentanza dei Paesi emergenti e di quelli in via di sviluppo.

Si tratta di Paesi che, sotto l’azione di una crescente cooperazione, sono candidati ad entrare nei Brics. E proprio in considerazione di un possibile allargamento dei Brics, Wang Wenbin, ha detto che se ne discuterà a metà giugno in Cina al 14° summit annuale, dedicato a una “Nuova era di sviluppo globale”». Secondo l’economista Paolo Raimondi, esperto dei Brics, «È importante riflettere sull’idea portante di questo cartello incentrata sul multilateralismo. Nella dichiarazione del summit dei ministri degli esteri del 19 maggio, questi governi hanno ribadito il ruolo guida del G20 nella governance economica globale, sottolineando che esso «deve rimanere intatto per fronteggiare le attuali sfide globali». Evidentemente l’aggettivo «intatto» indica la volontà di avere anche la Russia nei meeting del G20. Di fronte a questo scenario, l’Europa ha il compito di contribuire a promuovere, nel contesto dell’attuale scenario internazionale, un assetto multipolare, un mondo nuovo per il quale sono necessari un agire e un pensare inediti.

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