Visti da lontano i sovranisti fanno più paura
martedì 29 maggio 2018

La differenza di prospettiva aiuta a capire i timori Visti da vicino e visti da lontano i sovranisti fanno un’impressione molto diversa. Sembra un’ovvietà, ma questa differenza di prospettiva sta giocando un ruolo importante nello svolgersi della crisi italiana e nella comprensione che di essa abbiamo in patria e che opinioni pubbliche ed élites hanno in altri Paesi. Da una parte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini si presentano come gli alfieri del 'governo del cambiamento'.

Dall’altra, appaiono come i pericolosi sabotatori dell’Eurozona. Non esattamente la stessa cosa. Il leader della Lega e il capo politico di M5s in Italia si fanno ritrarre nella staffetta a fianco di Sergio Bramini, l’imprenditore monzese che si è visto pignorare la casa perché le amministrazioni locali per cui lavora la sua azienda di smaltimento rifiuti non lo hanno pagato. Bramini, pur di non chiudere e licenziare gli operai, ha acceso mutui sulla villa personale ma, complice la crisi che ha coinvolto il Monte dei Paschi, la società che ha rilevato le sofferenze della banca si è rivalsa sulle sue proprietà.

Così il populismo può mostrare il volto 'compassionevole' che sostiene le vittime della finanza e lanciare un premier che si definisce 'avvocato' della gente vessata dallo Stato stesso. Ma queste istantanee del Salvini 'domestico' non varcano i confini nazionali, e all’estero sono molto più note le foto di gruppo con Marine Le Pen e gli altri leader del gruppo Efn dell’Europarlamento scattate il 28 gennaio 2016 a Milano, dove si tenne il convegno dei partiti della estrema destra Ue chiamati a raccolta proprio dalla Lega. Lo slogan comune era «Finalmente Schengen è morto e l’Unione Europea si sta disgregando», con il conseguente auspicio del ritorno alla sovranità nazionale, a partire dal controllo delle frontiere.

A fare da corona forze come Alternative für Deutschland (la destra tedesca che ha spaventato la Germania senza poi sfondare), il Partito per la Libertà olandese di Gert Wilders (già protagonista del referendum anti-Costituzione Ue vinto nel 2005) e il Partito della Libertà Austriaco, ora al governo neo-populista che minaccia di chiudere le frontiere al Brennero e che è tentato di avvicinarsi agli euroscettici del gruppo di Visegrad. Poco più di un anno dopo, al ballottaggio delle presidenziali francesi l’ipotesi di una vittoria di Le Pen era ritenuta lo spartiacque di un declino irreversibile, e forse esplosivo, del percorso comunitario, oltre che un potenziale punto di svolta politico generale per il continente.

Dal successo di Macron il pendolo sembrava di nuovo spostato verso schieramenti centristi ed europeisti, malgrado la conferma di Orban in Ungheria e l’accentuarsi dello scontro tra Polonia e Bruxelles sulla riforma della giustizia a Varsavia. Nel frattempo, Movimento 5 Stelle e Lega ricevevano i complimenti (interessati) di Putin per avere inserito nel contratto di governo la rimozione delle sanzioni a Mosca. Ma a tutto questo dall’osservatorio italiano si presta davvero poca attenzione (grazie alla presidenza di Antonio Tajani solo l’Europarlamento è un po’ più presente sui media tradizionali). Allora si finisce con il sorprendersi delle reazioni dei governi, dei media e dei gestori della finanza.

Mentre noi (molti, ovviamente, non tutti) vediamo un volto 'sostenibile' del neo-populismo nostrano, all’estero ricordano Salvini e Le Pen insieme anche in discoteca dopo un congresso del Front National e non sottovalutano le frettolose messe a punto sulla politica estera dei pentastellati, passati dall’uscita dall’euro a un tiepido europeismo di maniera in campagna elettorale a una nuova accelerazione centrifuga al momento di formare l’esecutivo Conte. Se dunque la Commissione, Berlino e Parigi, insieme con le maggioranze pro-moneta unica e pro-stabilità economica garantita dai Trattati (pur non perfetti e certo a volte sfavorevoli ai sistemi più deboli), si spaventano e reagiscono con un’ingerenza soft, non si tratta di attacchi immotivati, bensì di una dinamica che si spiega nel quadro di un’Unione cui abbiamo liberamente aderito come Paese.

Visto da vicino Paolo Savona ministro dell’Economia poteva non essere la fine del mondo, molti – ma non il presidente Mattarella – hanno trascurato di valutare che, visto da lontano, costituiva una sfida forte ad assetti che non si cambiano senza rete di sicurezza, anche perché hanno conseguenze dirette e fortissime sulla vita dei cittadini e sui bilanci delle famiglie.

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