Il 5 ottobre scorso papa Francesco twittava: «Il dialogo ecumenico e interreligioso non è un lusso, ma qualcosa di cui il mondo, ferito da conflitti e divisioni, ha sempre più bisogno». Incontrare l’altro, dialogare, non è un "di più", cui si può rinunciare di fronte alle difficoltà, anche quando appaiono grandi. Al contrario è una vera e propria necessità di questo tempo di globalizzazione e di rimescolamento, di allargamento di orizzonti e di accelerazione della storia. L’alternativa al dialogo, in uno scenario del genere, non è il monologo, bensì il conflitto.
È una realtà da tener presente mentre si celebra la XV Giornata del dialogo cristiano-islamico, iniziativa nata all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001, quando Giovanni Paolo II chiese di condividere con «i fratelli musulmani» il digiuno di Ramadan. La giornata è un invito a tenere vivo il confronto tra le due grandi religioni abramitiche e l’impegno per la pace. Ma è giusto il dialogo tra due mondi che i media, troppo spesso, ci descrivono lontani e contrapposti? È più che mai opportuno, oggi come ieri, perché occorre innanzitutto ricordare che certe rappresentazioni mentali o mediatiche sono luoghi comuni e generalizzazioni da contrastare alla radice. E poi perché, come ha scritto di recente il Papa, se «viviamo in tempi di terrore e di paura», «ogni segno di amicizia, ogni barriera scalfita, ogni mano tesa, ogni riconciliazione, anche se non fa notizia, è destinata a operare nel tessuto sociale. Sia esso quello delle nostre famiglie, dei nostri quartieri, delle nostre città, delle nostre nazioni, dei rapporti tra gli Stati. Il fiume in piena dell’odio e della violenza […] nulla può contro l’oceano di misericordia che inonda il nostro mondo».
Il tema della Giornata richiama l’Anno Giubilare: «Misericordia, diritti: presupposti per un dialogo costruttivo». L’invito a costruire il dialogo, a rafforzare le ragioni della pace, ci raggiunge in un contesto di «guerra mondiale a pezzi». E proprio perché in questa guerra l’elemento distruttore del terrorismo ha spesso le sue radici nell’estremismo religioso, la lotta contro questo fenomeno è diventata oggi una delle dimensioni che più qualificano il dialogo cristiano-islamico. L’opposizione al terrorismo ha unito i fedeli delle due religioni in tanti luoghi e circostanze, molto più che nel passato. Si pensi al lutto dei musulmani francesi a seguito del martirio di padre Jacques Hamel. Giova anche ricordare che l’estremismo jihadista colpisce spesso e volentieri i musulmani, più di 20mila uccisi in attentati per mano di islamisti soltanto nel 2015, migliaia di vittime che passano rapidamente e scompaiono nel flusso di notizie.
Il mondo è diventato piccolo con la globalizzazione. Il male lo percorre ignaro delle frontiere, mietendo vittime senza fare distinzioni di fede. Per questo è necessario incontrarsi ed essere insieme. C’è bisogno di prese di posizioni sempre più nette e inequivocabili di fronte alla minaccia terroristica. Tutti noi, cristiani e musulmani, abbiamo sete di pace. Lo diceva papa Francesco, parlando ad Assisi per celebrare i trent’anni di quello "spirito" che ha soffiato nonostante le incomprensioni del passato e le tragedie del presente, riavvicinando mondi che a volte si conoscono poco e che senza lo sforzo del dialogo si capirebbero ancora meno, si guarderebbero peggio di quanto già fanno: «Diverse sono le nostre tradizioni religiose – diceva il Papa nella città di san Francesco –, ma la differenza non è motivo di conflitto, di polemica o di freddo distacco. […] Non ci stanchiamo di ripetere che mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa!». Una pace che significa «disponibilità al dialogo, superamento delle chiusure, che non sono strategie di sicurezza, ma ponti sul vuoto»; che «costituisce un dono e non un problema, un fratello con cui provare a costruire un mondo migliore».
Sì, un mondo migliore è l’orizzonte di tutti i popoli, di tutte le religioni. Questa Giornata è un passo ulteriore verso l’arte dell’incontro e il superamento di autoreferenzialità e irrigidimento. Perché il futuro non può che essere insieme. E in pace.
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