mercoledì 1 aprile 2015
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​Dopo che il procuratore Brice Robin ha "spiegato", in base alle informazioni della scatola nera, cosa è successo sull’aereo della Germanwings fatto volutamente schiantare sulle Alpi francesi, molti commentatori hanno cercato di penetrare le possibili cause e il senso del comportamento del giovane co-pilota Andreas Lubitz. È bene soffermarci e approfondire su una chiave di lettura, che già è stata proposta su queste pagine e che può aiutare a interpretare un fatto così drammatico e, soprattutto, le nostre reazioni e il senso di smarrimento che ci assale. Perché quell’evento ci sconvolge tanto e ci "spiazza" in modo così radicale? Probabilmente, perché mette in crisi un atteggiamento che alimenta e sostiene molte delle nostre azioni e pratiche quotidiane. Faccio qualche esempio per spiegarmi. Quando salgo su un autobus, "mi fido" non solo dell’autista, che non conosco, ma anche dell’azienda che ha costruito quel mezzo, di coloro che sono impegnati nella manutenzione, del complesso sistema di regolazione del traffico, del sistema viario urbano e interurbano e di tutti i ruoli connessi al funzionamento di quel sistema. Quando apro una bottiglia di acqua minerale confido che la fonte da cui è attinta non sia inquinata, che l’acqua sia stata imbottigliata secondo tutti i parametri igienici e di sicurezza, che un istituto specializzato ne abbia analizzato la composizione chimica, che la bottiglia sia stata stoccata correttamente e non abbia subito danni nel processo che la porta sulla mia tavola. Lo stesso accade quando mi rivolgo a un ospedale perché ho bisogno di cure, a una banca per gestire i miei risparmi, a una azienda che mi eroga l’elettricità o il gas, e in molte altre situazioni di vita.Insomma, noi assolviamo tanti nostri bisogni (mangiare, curarci, viaggiare, proteggerci) ricorrendo a sistemi di azioni rigidamente concatenati che funzionano in modo automatico e prevedibile, senza "sorprese". Ci attendiamo che funzionino così, anzi non ci poniamo neanche il problema, mettendoci letteralmente "nelle mani" di persone per noi del tutto anonime e sconosciute. Certo, spesso il sistema può presentare qualche "interfaccia" personale che assicuri il rapporto umano con il cliente o l’utente, come può essere l’hostess o l’infermiera in ospedale, ma gran parte dei ruoli e delle funzioni che compongono quella struttura restano celati. La fiducia che agisce in molti di questi casi non è riposta in persone in carne ed ossa, fatte "così e così", ma è una fiducia non riflessiva nel funzionamento automatico del sistema, l’aspettativa data per scontata che le cose andranno come ci si aspetta che accada. I sociologi la chiamano "fiducia sistemica". I sostenitori della bontà e della necessità di questo tipo di fiducia ritengono che essa sia l’unico meccanismo in grado di far funzionare le moderne società complesse, in cui molti nostri bisogni ed esigenze sono affidati a vaste organizzazioni e istituzioni. In questo contesto, il fattore soggettivo (cioè le motivazioni o i problemi specifici di chi lavora dentro queste organizzazioni o di chi se ne serve come utente o cliente) non contano molto, anzi sono un fattore spurio, irrilevante o addirittura dannoso, che può mantenere un qualche rilievo solo dentro le relazioni primarie e di piccolo gruppo.Questo ragionamento e questa visione delle cose funziona però fino a che non accade un "accidente" o un "incidente" che manda in tilt il sistema-macchina, ne inceppa il meccanismo. Ciò può accadere per tre ragioni che, non a caso, sono emerse tra le possibili spiegazioni della tragedia dell’aereo tedesco. La prima è l’impossibilità di neutralizzare totalmente il "fattore umano". Qui agiscono le motivazioni, gli scopi, le idee, i valori soggettivi, ma anche le sofferenze e le insofferenze, le idiosincrasie e le patologie personali, che la lucida costruzione della fiducia sistemica ha cercato di "tenere fuori" dal funzionamento dei sistemi socio-tecnici. Ecco allora tutte le analisi che le scienze umane e sociali, la psicologia e la psico-patologia in particolare, propongono per spiegare le motivazioni di un gesto, le cui chiavi restano nascoste dentro la "scatola nera" (questa sì inaccessibile) della mente di Andreas e che solo una visione sbrigativa e superficiale può ascrivere alla "follia" o ritenere del tutto prive di "ragioni", visto che esse non si riescono ad afferrare in modo chiaro e distinto. La seconda spiegazione è che lo stesso sistema socio-tecnico abbia prodotto al suo interno una colpevole falla, un "difetto" di funzionamento. A questo livello si è invocata la scarsa esperienza del co-pilota o il fatto che l’azienda, pur sapendo delle sue difficoltà psicologiche, non abbia ritenuto di lasciarlo a terra. Insomma qui il "fattore umano" diventa secondario rispetto a una inadeguata considerazione dei rischi da parte dell’azienda (quanto grave lo dirà l’inchiesta).
La terza possibile causa di crisi del funzionamento del sistema socio-tecnico (e della fiducia ad esso associata) è il progetto di qualcuno che operi attivamente per "farlo saltare" attraverso operazioni di "boicottaggio" interne o esterne al sistema. E infatti, non a caso, l’altro spettro, subito evocato, è stato quello di un attacco terroristico. La sua logica è proprio quella di "smentire" in modo eclatante l’aspettativa che un viaggio in aereo o su una nave da crociera, lo shopping in un supermercato o la visita a un museo (tutti casi della cronaca dolorosa di queste settimane) avvengano senza particolari problemi come attività normali e prevedibili. Lo scopo di chi attua un simile progetto è proprio di erodere come un cancro quella fiducia generalizzata negli altri che è alla base di ogni sistema di relazioni allargate al di là della stretta cerchia dei nostri legami più prossimi. Quali che siano i meccanismi specifici, l’aspetto più sconvolgente di ciò che è accaduto, e la ragione del suo forte impatto sull’opinione pubblica, è la messa in crisi radicale della fiducia sistemica: quella per cui salgo su un aereo (o un treno o un autobus) confidando, senza dovermene troppo preoccupare, che il pilota "voglia" portarmi a destinazione e tutto il sistema funzioni in modo tale che ciò accada. Il dramma collettivo che stiamo vivendo - oltre alla pietà e al "rammarico" per le vittime e i loro familiari - è che questo episodio ha rivelato drammaticamente che la fiducia sistemica su cui si fondano molte delle nostre normali attività quotidiane è un meccanismo fragile e vulnerabile. E ne abbiamo scoperto, il lato più tragico.
Non è vero, infatti, che il "fattore umano" sia indifferente al funzionamento dei sistemi socio-tecnici. La logica della fiducia sistemica dice che se un insegnante è malato, un altro lo sostituirà e svolgerà il suo ruolo "nello stesso modo", garantendo al sistema di funzionare. O che se il medico che mi deve operare è indisponibile, ce ne sarà un altro che svolgerà comunque il suo compito. In realtà non è così. Il ruolo è lo stesso, ma non la persona che lo assume. Ogni ruolo, anche in una organizzazione o un sistema socio-tecnico che "sembra" perfettamente oliato, in realtà passa attraverso il modo in cui le singole persone svolgono quel ruolo, cioè attraverso le loro ragioni, le loro motivazioni, i loro scopi, i loro valori e anche i loro limiti e i loro problemi, insomma, in una parola attraverso il fattore irriducibile della loro soggettività. Nel bene e nel male. Dimenticarlo, o credere che ciò sia irrilevante, è una menzogna di una società che crede di avere esorcizzato i rischi dell’imprevedibilità - ma anche della libertà e della responsabilità - dell’azione umana ricorrendo all’efficienza dei meccanismi sistemici. Finché questa riemerge, talora drammaticamente, quando e dove non ti aspetti.
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