Ansa
La decisione del mix vaccinale, con la possibilità di scegliere se completare o meno la vaccinazione con AstraZeneca (AZ), è di quelle che segna un prima e un dopo nel rapporto fra scienza, enti regolatori e politica. È una decisione che sancisce il primato della politica, intesa come assunzione di responsabilità da parte di chi governa il Paese: questo mix non è stato autorizzato secondo il normale iter regolatorio ma seguendo altre logiche pragmatiche. È bene capire quali e trarne le conseguenze, specie ai fini della comunicazione alla cittadinanza, e in questo senso è stato decisivo l’intervento del presidente del Consiglio Draghi. Gli enti regolatori che autorizzano la commercializzazione di medicinali sono soggetti terzi sia rispetto agli scienziati che ai decisori politici: Ema, l’agenzia di farmacovigilanza europea, Aifa, quella italiana, Fda, la struttura americana non rilasciano autorizzazioni ascoltando pareri di scienziati né seguendo indicazioni politiche, ma aderendo a procedure valutative ben precise, sulla base dei risultati di sperimentazioni cliniche appositamente progettate che consentono di valutare rischi/benefici per ogni prodotto, poiché non esiste un medicinale al mondo che sia a rischio zero.
Fin dallo scorso anno sapevamo delle sperimentazioni in corso di diversi vaccini anti-Covid-19. Fase I, fase II, fase III, random doppio cieco (farmaco e placebo sono somministrati a due gruppi in modo casuale senza che nemmeno i medici sappiamo a chi va che cosa), braccio di controllo, autorizzazione condizionata, efficacia nel mondo reale: sono tutte espressioni che abbiamo imparato a conoscere e che dicono di percorsi complessi e articolati, necessari ai regolatori per poter valutare se quel prodotto può essere somministrato efficacemente per gli obiettivi per cui è stato sperimentato. Sono i famosi «trials clinici », test che vengono progettati con particolari caratteristiche, individuate per poter stabilire nel modo più rigoroso possibile se e come debbono essere somministrati i medicinali.
È bene ricordare le perplessità di molti, esperti e non, lo scorso anno, di fronte alla velocità con cui si è arrivati a mettere a punto più vaccini, in pochi mesi, quando in media il tempo necessario è sempre stato di diversi anni. Molto lavoro è stato fatto da parte delle istituzioni sanitarie per spiegare che la velocità insperata di sperimentazione e autorizzazione non aveva in alcun modo compromesso l’attendibilità della sperimentazione stessa, come effettivamente era avvenuto: il percorso è stato seguito fino in fondo. A tale proposito è stato elaborato un documento analitico specifico da un gruppo di lavoro dell’Istituto superiore di Sanità, sugli aspetti etici della sperimentazione vaccinale, affiancato da più pareri dedicati al tema da parte del Comitato nazionale per la Bioetica, che ha raccomandato in primo luogo la necessaria rigorosità scientifica nella sperimentazione.
In tutto questo la centralità delle agenzie regolatorie è stata sempre indiscussa: le variazioni nelle indicazioni di somministrazione di AZ, per esempio, sono dipese sempre dalle indicazioni Ema ed Aifa, che sono cambiate nel tempo per via del veloce aggiornamento dei dati disponibili, prima, e dell’emergere, poi, dei noti effetti avversi. E non ci stancheremo mai di ripetere che effetti avversi con la frequenza di uno su 100.000 in alcune fasce di età – come avvenuto per AZ – non possono emergere dopo le sperimentazioni, che coinvolgono al massimo decine di migliaia di volontari, mentre è la somministrazione a milioni di persone a consentire di rivelarli con la necessaria affidabilità.
L'idea della cosiddetta «vaccinazione eterologa», però, non nasce da sperimentazioni richieste per gli usuali iter regolatori, ma da una rivalutazione del rapporto rischi/benefici che tiene conto sia della frequenza degli eventi avversi rilevati nei diversi vaccini, sia del fatto che la pandemia sta rallentando. È una rivalutazione politica, però, nel senso di politica sanitaria, fatta all’interno dei singoli Paesi, pragmaticamente, e non seguendo le procedure della farmacovigilanza europea adottate finora per le autorizzazioni dei singoli vaccini. Il mix vaccinale è stato autorizzato non da Ema ma dalla nostra Aifa come 'off label' (cioè fuori dalle strette indicazioni di cura): analogamente a tanti altri farmaci che sono stati commercializzati, ad esempio, per la finalità terapeutica A, ma di cui poi, con la somministrazione sul campo, è emersa l’efficacia anche per curare B, e quindi se ne consente l’uso per B nonostante manchino sperimentazioni specifiche. Una procedura adatta per prodotti a diffusione limitata e a dir poco insolita per un vaccino – e lo diciamo con un eufemismo – ma ritenuta legittima da altri Paesi oltre al nostro, come la Spagna, con studi promettenti ma limitati numericamente. La libertà di scegliere il mix o la vaccinazione omologa, molto opportunamente ribadita dal presidente Draghi, è una conseguenza dovuta alla mancata sperimentazione clinica dedicata: non si può obbligare ad accettare la vaccinazione eterologa in assenza delle sperimentazioni necessarie.
Va anche riconosciuto che di per sé il mix vaccinale con le due tecniche non è sempre migliore: se così fosse, chi ha fatto la prima dose con un vaccino mRna dovrebbe poter avere AZ come seconda. Ma questa opzione non è prevista perché il mix è nato dal rivalutato rapporto rischi/benefici, e adesso sappiamo che i rischi di AZ, almeno per certe fasce di età, sono maggiori di quelli dei vaccini a mRna. Di fatto il governo si è trovato di fronte alla somministrazione contemporanea di più vaccini differenti, per di più in corso di pandemia, in mancanza di sperimentazioni comparative adeguate. A quanto è dato sapere, finora le agenzie regolatorie non hanno preso in esame studi comparativi dei diversi vaccini: Ema e Aifa autorizzano usualmente i singoli medicinali, e hanno approvato ogni singolo vaccino. L’emergere di eventi avversi differenti nelle due piattaforme vaccinali – a mRna e a vettore virale – ha reso necessario e improrogabile quello che le agenzie non hanno ancora fatto: stabilire a chi dare il vaccino più adatto.
A questo punto però urge prendere provvedimenti, per evitare di consolidare un precedente pericoloso che rischia di delegittimare le agenzie regolatorie. Le soluzioni potrebbero essere diverse, non incompatibili fra loro. Sicuramente vanno riviste le procedure regolatorie alla luce delle nuove situazioni emerse con Covid-19, a partire dalla necessità di autorizzare più vaccini, diversi, in contemporanea e in corso di pandemia. Andrebbe poi fatta una riflessione sulle agenzie di farmacovigilanza nei loro rapporti con i governi: istituzioni differenti che debbono restare indipendenti fra loro, ma che necessariamente devono interagire e anche essere pronte a rispondere rapidamente ed efficacemente a situazioni di emergenza, che facilmente presentano aspetti inediti.
Da questa campagna vaccinale senza precedenti nella storia finora è emerso con chiarezza che la scienza ha avuto un ruolo centrale per portarci fuori dalla pandemia solo quando la politica si è assunta le sue responsabilità: la scommessa sui vaccini, le decisioni sulle modalità di distribuzione poi alla popolazione. Le agenzie regolatorie sono lo strumento perché questo corretto rapporto scienza-politica possa attuarsi: ha bisogno di regole certe, su dati certi.