Caro direttore,
finalmente ho dormito. Dopo 117 giorni di custodia cautelare preventiva, sono riuscito a riposare sei ore di seguito fino a questa mattina di domenica. E questo lo devo a un «sacerdote», un uomo, un padre, un nonno, un santo che, a una domanda rivolta tra un boccone e l’altro, con una semplicità sconcertante, mi ha risposto: «Piango... ». Eh sì, anche il Papa piange. Gli ho chiesto: «Francesco, ma come fai a fare tutto ciò che fai?». E lui: «Piango... piangere mi consente di raccogliermi con me stesso e unirmi con Dio». Ieri, sabato 25 marzo, ho vissuto la liturgia eucaristica in un modo nuovo, inconsueto e forse “banale” nello svolgimento del pranzo di noi detenuti nel carcere di San Vittore. Gli abbiamo versato l’acqua e l’aranciata dalle nostre stesse bottiglie condivise, ha aspettato che tutti fossimo serviti – più di 100 persone – del risotto alla milanese per cominciare a mangiare e poi ha tagliato la cotoletta in due perché troppo grande per lui, dicendo che non poteva mangiare troppo, in quanto aveva tanto da camminare nella giornata, e alzandola in alto ha chiesto: «Chi la vuole?». Ieri sera dopo aver mangiato le stesse cotolette cucinate in cella e condivise fra i miei con-cellini, ho pianto e finalmente... sognato. È domenica e tra poco «comincia Messa» nella rotonda benedetta dal Papa . Qui tutto è cambiato – la storia è stata fatta – la storia è passata da qui. E dormire per me non sarà più lo stesso... Piangerò, dormirò e sognerò finalmente. Grazie Francesco!
Fortunato Ficara San Vittore, Milano
C’è poco da far poesia nella condizione che sta sperimentando, gentile e caro signor Fortunato. Eppure lei riesce a dare forza poetica alla sua umana fatica di detenuto in attesa di giudizio, e alla gioia dell’incontro che il nostro Papa ha saputo accendere in tutta la Milano capace di ascoltare, vedere e sentire e in tutti coloro – milanesi e no – che non sono soltanto desiderosi, ma anche liberi (interiormente liberi, intendo) di accogliere e comprendere la parola di Francesco, che è puro e semplice Vangelo e pura e semplice vicinanza di fratello e di padre. Una gioia raggiungibile e in effetti raggiunta da quanti hanno avuto, e ancora avranno, il coraggio cristiano e civile di partecipare al dialogo riconciliatore e rigeneratore che il Papa ha intessuto in modo esemplare per un intero giorno di festa e di lavoro nella speciale città-mondo che Milano è sempre più diventata, coniugando tante diverse e anche piccole e piccolissime facce con la sua grande vocazione di «luogo di mezzo». Grazie, signor Fortunato. La sua voce è un’altra e preziosa voce “da dentro”. Da dentro la visita a Milano di Francesco, del quale ci ha portato accento e gesti. Da dentro l’intimità con Dio di un Papa che sa parlare col suo Signore nell’abbandono inerme delle lacrime, e proprio per questo arriva a toccare il cuore anche dei più apparentemente lontani. Da dentro il carcere, luogo che rischia di essere sempre più pensato come una discarica di umanità. E da dentro l’esiguo e forzatamente condiviso spazio di una cella, reso ancora più stretto dal peso di pensieri amari, cioè da una delle condizioni più dure e umilianti che si possano provare, tali – appunto, come lei scrive – da togliere il sonno. Sono contento che, grazie al Papa, il sonno lei l’abbia ritrovato. Che abbia imparato o riscoperto il nudo senso e la libertà del pianto. E che ora nelle sue parole ci sia speranza. Le auguro che ogni risveglio, proprio in quel triste pezzetto di Milano che conosciamo come San Vittore, l’avvicini un po’ di più a un giorno davvero nuovo nella sua vita.