Ci sono le truffe, certo. Ci sono gli evasori totali, vero. E c’è chi se ne approfitta per non lavorare oppure farlo poco e 'in nero'. Ma queste non sono novità prodotte dal Reddito di cittadinanza, come invece oggi si vuol far pensare per cancellare uno dei pochi strumenti – pur imperfetto – di welfare a favore dei più deboli.
I comportamenti opportunistici nel mercato del lavoro o quelli addirittura delinquenziali in campo economico ci sono sempre stati. Prima del Reddito di cittadinanza, una certa politica e professionisti compiacenti si inventavano la concessione di pensioni di invalidità a chi invalido non era. I sussidi di disoccupazione agricola a chi nei campi non ha mai messo manco uno stivale, sono una malapianta vecchia di decenni e non ancora estirpata. Di evasione fiscale, poi, l’Italia è malata cronica: chi stima 100, chi arriva a 150 miliardi di euro l’anno di soldi sottratti al fisco. L’economia sommersa, secondo l’Istat, supera il 12% del Pil e, tolte le attività propriamente criminali, assomma a 190 miliardi di euro, con il lavoro in nero che pesa per il 37%.
Cifre relative al 2018, prima dunque che venisse approvato il Reddito di cittadinanza. Eppure oggi la narrazione, in particolare di una parte della stampa espressione di certo mondo imprenditoriale, cerca di far passare il Reddito di cittadinanza come l’origine di tutte le malversazioni. Fino a ribaltare il quadro della realtà e delle responsabilità. Il lavoro 'in nero', infatti, sarebbe colpa di chi, per non perdere il Rdc che riceve, non vorrebbe più lavorare in regola. E non di imprenditori e professionisti che il 'nero' lo hanno sempre sfruttato, lucrandoci dei bei guadagni. È davvero difficile credere, infatti, che per un cantiere a Napoli non si trovi un muratore 'disposto' a essere assunto con contratto regolare, contributi, malattia, ferie pagate e persino il lusso delle misure di sicurezza. Uno magari tra quegli stranieri che di un contratto regolare – che poi vuol dire continuazione del permesso di soggiorno e diritti connessi – avrebbero bisogno anche più del pane.
E che, paradosso, sono i grandi esclusi dal Reddito di cittadinanza. Eppure questo è il messaggio che vorrebbe far passare una parte degli imprenditori, assieme a un fronte politicamente trasversale che va da Italia Viva a Forza Italia, passando per la Lega (quest’ultima peraltro dimentica di essere stata al governo la 'madre' del Reddito di cittadinanza se il Movimento 5 Stelle ne è il 'padre').
Colpevolizzando i percettori del Reddito – come fannulloni da divano o scaltri lavoratori in nero – mai sottolineando invece la responsabilità di chi dei loro presunti 'maneggi' si avvantaggia veramente: clienti e imprenditori che possono pagare meno e poco chi è sussidiato dallo Stato (cioè dai contribuenti onesti). E ancora: non c’è piuttosto da interrogarsi sul livello dell’offerta salariale di molte occupazioni, se i percettori di Rdc (500 euro al mese più eventuale contributo casa) preferiscono questa certezza a retribuzioni indecenti evidentemente inferiori e meno stabili?
Ci si è forse dimenticati che – nel turismo, nei servizi e in agricoltura – la prassi era, e in parte è, sfruttare gli stagisti come camerieri, pagare con un voucher da 10 euro una o più giornate di lavoro nei campi o utilizzare false cooperative per la movimentazione delle merci in condizioni spesso disumane?
Il Reddito di cittadinanza sconta la presunzione del M5s di 'saper fare da soli', prescindendo dall’esperienza di quanto già realizzato (il Rei) e di chi tutti i giorni, dai Comuni alle associazioni, si confronta direttamente con il problema povertà. E avrebbe bisogno, lo scriviamo da quando la norma era in discussione, di correzioni per almeno 6 aspetti.
A cominciare dalle scale di equivalenza, che penalizzano le famiglie numerose rispetto ai single; i troppi limiti per gli stranieri più bisognosi; la differenziazione per area dell’importo; il ruolo dei Comuni che dovrebbe essere maggiore; il rafforzamento delle politiche attive (obiettivo inseguito da 20 anni e mai realizzato). Infine, proprio per evitare la tentazione del 'nero', la possibilità di non perdere l’assegno in caso di assunzioni a termine o di modeste retribuzioni temporanee, purché dichiarate.
Chi lavora in nero, gli evasori fiscali grandi e piccoli andrebbero stigmatizzati e scovati non solo se e quando percepiscono indebitamente il Reddito di cittadinanza, ma per la quantità di risorse che da sempre sottraggono alla comunità, per i tanti servizi di cui godono senza contribuirvi. Le truffe e i furbetti purtroppo ci saranno sempre: vanno migliorati i controlli, soprattutto quelli preventivi, ma non per questo si può pensare di farne pagare il prezzo ai veri poveri, molti dei quali ancora non coperti. Né scatenare l’ennesima furia ideologica, guarda caso sempre contro chi il coltello deve ingegnarsi per afferrarlo dal lato della lama, mentre altri lo stringono comodamente dalla parte del manico.