La televisione conta i giorni e scandisce le ore di Kiev, la Borsa conta i dollari di gas e petrolio eppure la Celis, al bar sotto casa, non ha nessuna voglia di contare i miei centesimi. «No, grazie, quelli no», mi risponde con la durezza che tirano fuori i popoli del Sudamerica quando la mente trapassa il galateo commerciale e vien fuori che l’integrazione te la sei dovuta conquistare centesimo dopo centesimo. Una barista sa bene quale sia il valore del denaro, eppure quelle monetine di rame lei proprio non le vuole. Non che pesino, non che ingombrino, piccole come sono; semplicemente il loro valore è precipitato con la guerra.
Dicono gli economisti: «Se un governo batte moneta per finanziare la spesa pubblica, aumenta l’offerta di moneta e quindi si genera inflazione. Infatti, un aumento dell’offerta di moneta provoca un aumento dei prezzi che fa diminuire il valore reale delle banconote che ognuno detiene». Alle banconote ancora non ci siamo arrivati, ma le monetine sono già fuori gioco. Dicono che in Italia il carovita abbia registrato un incremento in linea con il dato Eurozona, anzi, addirittura 0,5 punti sotto la media dell’Unione Europea: siamo, ma diciamo saremmo, al 4,8%. Usiamo il condizionale in quanto l’inflazione per la Celis – e non solo per lei – segue l’andamento della temperatura nei giorni di luglio: conta quella percepita, mica quella reale. 'Il Sole 24 Ore' posiziona l’inflazione percepita al 6,4%, ben sapendo che in economia la percezione anticipa sovente la realtà.
La nostra realtà è quella di una guerra. Finalmente abbiamo contezza di cosa sia la globalizzazione, dopo aver passato decenni a pensare che cosa significasse pagare meno le materie prime perché c’erano tanti omini lontani che si accontentavano di un centesimo del nostro salario per produrle. Ecco, la rivincita dei centesimi. Noi li snobbiamo e la signora peruviana che fa le pulizie nel palazzo raccoglie tutte le monetine che può, con la scusa di farci giocare il nipote.
Per effetto della globalizzazione, le nostre tasche sono le prime vittime locali dell’avanzata russa e adesso iniziano a svuotarsi di eurini. Abbattuti dal fuoco amico dell’inflazione percepita. Nei bar e nei negozi italiani si sta consumando il genocidio dei centesimi di rame. Le banche li cambiano ancora, certo, ma provate a presentarvi con un sacchetto di monetine e guardate la faccia del cassiere. Come minino, vi chiederà la cortesia di metterli nei blister, quelle custodie di plastica che permettono di impilare le monete. Prima le usavano solo i tassisti. Ci dicono che inflazione e stagnazione rappresentino la tempesta perfetta. La Celis continua a fare caffè e a vendere brioches, ma anche a lei viene il sospetto che stiamo ballando sul Titanic.
I centesimi sono il punto debole di una moneta fortunata, della quale tuttavia non hanno mai condiviso il successo. In vent’anni sono stati battuti 6 miliardi e 700 milioni di 1, 2 e 5 centesimi: il 45% di tutte le monete di euro in circolazione. Dal 2018 non sono più coniati 1 e 2 centesimi e si è parlato spesso di abolirli, una scelta che alcuni Paesi europei hanno fatto anni fa ma che adesso in Italia sarebbe suicida, perché darebbe la stura a pensieri foschi, saldando immediatamente l’inflazione percepita con quella reale. Sarebbe un’escalation che neanche Putin...
La storia delle monete di metallo si intreccia profondamente con quella dell’inflazione: mutatis mutandis, uno dei segni drammatici del caroprezzi negli anni Settanta fu proprio la sparizione dei 50, 100 e 200 lire, determinata dal fatto che, per frenare il crollo della valuta nazionale di fronte all’inflazione galoppante, con un Paese attanagliato dalla crisi petrolifera (toh, guarda), la Zecca stampò un’enorme quantità di carta, abbassando il rapporto banconote-monete. Col risultato che i commercianti non le trovavano più e davano il resto in caramelle e gettoni telefonici. Non succederà la stessa cosa, per tante ragioni, ma chi ha qualche anno dovrebbe ricordare che un centesimo vale circa venti lire e metterlo nel salvadanaio. Perché troppe caramelle fanno venire il diabete.