Nunzia Catalfo, Senatrice Movimento 5 Stelle e presidente Commissione Lavoro
Gentile direttore,
ho letto con grande interesse e attenzione l’analisi del professor Leonardo Becchetti pubblicata venerdì 19 luglio su 'Avvenire'. La battaglia contro le disuguaglianze e il dumping sociale e salariale non è più rinviabile, tanto in Italia quanto in Europa. Non è un caso che nel «contratto di governo» il Movimento 5 Stelle abbia fortemente voluto inserire una serie di misure che si muovono in questa direzione. Il Reddito di cittadinanza è già legge e a breve sarà la volta del Salario minimo orario. Nel nostro Paese circa 12 lavoratori su 100 hanno un salario insufficiente per vivere, sono i cosiddetti working poors.
Ci sono province dove il reddito medio mensile da lavoro dipendente è di poche centinaia di euro. Qualche esempio? Oristano 520 euro, Ragusa 655 euro, Carbonia 675 euro, Reggio Calabria 670 euro, Benevento 717 euro. Oltre al Sud, anche al Centro e al Nord le cose non vanno tanto meglio e spesso non si arriva a mille euro: Rieti 775 euro, Bolzano 866 euro, Imperia 885 euro, Perugia 919 euro, Massa 925 euro, Treviso 947 euro, Verona 959 euro.
Siamo il Governo del cambiamento e come tale dobbiamo lavorare per sovvertire questo andazzo che ha un risvolto negativo sulla nostra economia, infatti a bassi salari corrisponde una bassa produttività e i dati Ocse lo confermano. Perciò mi sorprende tanta ostilità da parte di quegli attori – sindacati e associazioni datoriali – che invece dovrebbero vedere positivamente l’approvazione di una legge sul salario minimo orario. I primi perché, al contrario di quanto hanno affermato alcuni di loro, la proposta a mia firma mantiene saldo il sistema della contrattazione collettiva e al tempo stesso porta a un aumento degli stipendi dei lavoratori; i secondi perché, oltre alla questione riguardante la sottoscrizione dei Ccnl, un generalizzato aumento del potere d’acquisto avrebbe delle ricadute positive sulla crescita e lo sviluppo di tutta l’Italia.
Questo deve avvenire anche mettendo fuorigioco i contratti cosiddetti 'pirata', sottoscritti da sindacati e associazioni imprenditoriali scarsamente rappresentative, che in questi anni hanno alimentato il dumping ledendo i diritti e la dignità dei cittadini. Perciò all’interno del disegno di legge che ho presentato ho inserito un articolo, il 3, che dice che in quei settori dove c’è una pluralità di contratti collettivi deve essere riconosciuto come 'leader' quello stipulato dalle organizzazioni sindacali e datoriali «comparativamente più rappresentative». Infatti, è inaccettabile che nel 2019 due lavoratori che operano nella stessa categoria con uguale mansione e qualifica si trovino a percepire stipendi diversi perché si vedono applicare contratti collettivi con retribuzioni tabellari più alte o più basse a seconda del Ccnl scelto dal datore di lavoro.
Qualcuno tra i membri della maggioranza di governo vorrebbe cancellare questa norma dal provvedimento. E questo qualcuno non è certamente da ricercare dentro al M5s. Su questo voglio essere molto chiara: non intendiamo indietreggiare di un millimetro. Siamo aperti a discutere di tutto, compresa una legge sulla rappresentanza sindacale. Ma in attesa che si arrivi a un punto di caduta con sindacati e associazioni datoriali l’art. 3 resta l’unica soluzione attualmente praticabile per arginare il dumping contrattuale. Insieme al salario minimo orario, l’altra nostra priorità è il taglio del cuneo fiscale. Una certa narrazione vuole far passare il M5s come nemico delle imprese, niente di più lontano dalla realtà. Spero che la proposta lanciata dal vicepremier e ministro Luigi Di Maio, cioè quella di un workshop di più giorni tra Governo e parti sociali da realizzare a Palazzo Chigi, venga accolta con entusiasmo e propositività dalle parti sociali. Solo camminando tutti insieme possiamo riportare questo Paese dove merita di stare. Noi siamo pronti.
Senatrice Movimento 5 Stelle e presidente Commissione Lavoro