Migranti al Dignity Center a Cipro - F.G.
In mezzo al mare porta lo sfregio artificiale di una frontiera, che da costa a costa divide il suo piccolo territorio e la capitale a metà. Cipro si allunga verso i litorali di Turchia, Siria e Libano, 70 chilometri dalla prima, meno di 200 dalle altre due, ma è già Europa, la punta più orientale dell’Unione, così vicina che sembra di toccarla a chi intravede una scorciatoia che si apre di qua. Resta però solo un sogno, perché alle autorità cipriote riesce un’impresa che le altre capitali europee non sono (ancora) in grado di eguagliare. Rimpatriare più migranti di quelli che ce la fanno ad arrivare. «La Commissione europea in visita sull’isola ha dichiarato che il Paese è un buon esempio per gli altri Stati membri. Beh, se voi in Europa avete società democratiche disponibili a portare le persone alla fame per spingerle ai ritorni volontari, allora sì, potete prendere esempio da noi». È arrabbiato Doros Polykarpou della Ong Kisa che nella capitale Nicosia si occupa di dare supporto ai migranti.
Il riferimento è alle parole della commissaria Ue Ylva Johansson che a gennaio si è congratulata con il governo cipriota per “l’impressionante aumento dei rimpatri, qualcosa da cui altri possono imparare”. A febbraio, presentando i dati sull'immigrazione, il ministro degli Interni Constantinos Ioannou ha parlato di 11.600 arrivi nel 2023, la metà rispetto al 2022, ma comunque una richiesta di asilo ogni 78 abitanti, cioè molte più domande in rapporto alla popolazione che in qualsiasi altro Paese europeo. Soprattutto Cipro è al primo posto nell'Unione per la percentuale di rimpatri in rapporto agli arrivi e al quarto in numeri assoluti, dopo Germania, Francia e Svezia. Da qui, secondo la polizia, 9.699 persone sono state rimandate indietro nel 2023. Una tendenza proseguita anche quest’anno, anzi intensificata. A gennaio, a fronte di 782 nuovi arrivi, 1.081 migranti sono stati fatti andare via e complessivamente dall’inizio dell’anno e fino all'8 marzo da Cipro sono stati deportati o rimpatriati “volontariamente” 2.247 migranti (nello stesso periodo del 2023 erano stati 1.645).
«Lasciando le persone per la strada si accrescono solo l’ostilità e un razzismo inimmaginabile nella società. Sappiate che è questo il prezzo da pagare», prosegue il suo sfogo Doros Polykarpou, seduto alla sua scrivania nella sede di Kisa, dove si vedono ancora i mucchi delle vetrate andate in frantumi per l’attentato subito dalla Ong. «Non ci si immagina quante persone qui da noi siano crollate mentalmente e fisicamente perché così disperate da non poter andare avanti, da non poter nutrire i figli. È a quel punto che si riceve l’offerta: soldi e biglietto per tornare a casa», aggiunge l’attivista. « Mavro go back, nero torna nel tuo Paese, così ci dicono. Pochi ciprioti amano i migranti e il governo rende la vita dura agli africani affinché accettino il rimpatrio. Tagliano i benefici economici, non danno pieno accesso al lavoro», riflette Marcel, originario del Camerun, fuori dalla pensione in cui vive. È emigrato a Cipro due volte, nel 2020 e, dopo una deportazione, di nuovo nel 2023. In entrambi i casi ha seguito la rotta che tutti i subsahariani percorrono per giungere qui.
Un negozio gestito da stranieri a Nicosia - F.G.
Dalla Turchia si arriva in aereo allo scalo di Ercan nella Cipro del Nord, de facto territorio separato sotto il controllo dei turco-ciprioti sin dall’occupazione turca del 1974. In tasca un visto per studio, che si ottiene iscrivendosi all’università. Poi si oltrepassa di nascosto il confine interno, la Green Line controllata dall’Onu, e si mette così piede nell’Unione europea, di cui Cipro è parte dal 2004. «Ho attraversato con i trafficanti, in tre ore di cammino. La prima volta per 300 euro, ma ora il prezzo è tra 400 e 500 euro», prosegue Marcel. Nel 2022 ha seguito lo stesso tragitto anche Shekinah, congolese, che poi ha vissuto il periodo peggiore di Pournara, il campo da cui tutti qui transitano, aperto per la registrazione di pochi giorni, ma quell’anno trasformatosi in prigione per mesi. «Quel posto era come vivere in Congo, c’era gente che soffriva», racconta. Se ancora ogni giorno ci sono nuovi ingressi via terra dal Nord, si tratta tuttavia di un flusso in calo, di un problema «in gran parte risolto», come l’ha definito il Governo, dopo le pressioni esercitate sulla Ue affinché si facessero più controlli all'aeroporto di Istanbul.
«Nel 2022 la Turchia ha anche reso più severi i requisiti per i visti», spiega Corina Drousiotou del Cyprus Refugee Council (CyRC). «E un altro fattore che forse ha ridotto le presenze sono le condizioni di vita dei migranti: qui è estremamente difficile sopravvivere, è un ambiente ostile, per le privazioni molti se ne vanno. È l’obiettivo del governo rendere la situazione complicata. In occasione dei rientri, per la prima volta negli ultimi due anni Cipro ha erogato incentivi tra i 1.500 e i 2.000 euro».
C'è chi dal 2020 aspetta l’intervista per l’asilo, mentre i casi di chi è arrivato nel 2023 sono già stati valutati. Quella che non cambia è la risposta negativa che quasi tutti ricevono qui. Secondo i dati Eurostat, nel 2022 a Cipro si è registrata la percentuale più alta di dinieghi dell’intera Ue, con il 93,7% di richieste d’asilo respinte in primo grado. La media dell’Unione è del 50,09% (in Italia del 51,6%). «Sono arrivato a luglio, e mi hanno già informato che la mia domanda è stata respinta, rispondono troppo in fretta», spiega preoccupato Lionel, che viene dal Congo. Ha presentato ricorso senza un avvocato, di soldi non ne ha più. Il trafficante che lo ha accompagnato oltre la Linea Verde gli ha rubato tutto, lasciandogli solo la polo e i pantaloni che indossava.
Anche in una quota della popolazione
Calano dunque gli arrivi da Cipro del Nord, ma il governo riferisce di un forte aumento dei flussi via mare che hanno visto, nei primi tre mesi del 2024, approdare 2.448 migranti. «Il fenomeno delle barche è relativamente recente», prosegue Corina Drousiotou del Cyprus Refugee Council (CyRC). «Le partenze sono dal Libano o direttamente dalla Siria». Tra gli ultimi casi di approdi, c’è chi riferisce di avere pagato 2.500 dollari per la traversata. «Oggi la maggiore preoccupazione del governo cipriota è proprio la presenza dei siriani, perché non si possono rimandare indietro in Siria. Perciò si tenta di sostenere che Damasco e Tartous siano ormai zone sicure», ci ha detto Doros Polykarpou di Kisa. Il governo ha ripetutamente chiesto all’Ue di riconsiderare il divieto di deportazioni verso la Siria. A dare conferma della crescente presenza di siriani è Paola Tamrit del Dignity Center di Nicosia. Lo fa consultando la lista di chi si rifornisce al mercato alimentare gratuito allestito dalla Ong.
«Abbiamo siriani, afghani, iracheni, somali, 300 persone a settimana. Questo è un luogo dove si può bere un caffè, usare il wifi, preparare un cv anche se ora per lavorare serve attendere nove mesi dalla richiesta d’asilo, non più 30 giorni», aggiunge l’attivista. Poco lontano, c’è la sede di Caritas Cyprus, dove lavora l’italiano Marco Frassine. Ci parla di un database di 35.000 beneficiari dal 2017. «In questi anni sono arrivati in molti, il Paese non era preparato. I ciprioti sono appena 900mila, è stato uno shock. La questione dei rimpatri non viene nascosta, è un vanto del governo». Poi riflette sull’aumento degli sbarchi nei mesi invernali «di solito calmi. È inusuale, forse conseguenza dell’instabilità mediorientale. I ministri ciprioti qui hanno accusato le autorità di Beirut di operare meno controlli, perché troppo concentrate su quanto accade nel Libano meridionale e a Gaza».
Sul molo di Larnaca, sulla costa orientale, incontriamo Tabish e Farhad, afghani di Kabul. «Prima dell’arrivo dei taleban non volevo andare da nessuna parte. Ma ho visto con i miei occhi come hanno ucciso un mio amico», confida il primo. «Qui abbiamo pagato 1.200 dollari di anticipo all’università per il visto, poi altri 3.000. E pensare che sono già laureato in Afghanistan…». Non lontano dal porto ci uniamo al giro di distribuzione alimentare della piccola Ong IPF Foundation. L’auto di Emma, una delle volontarie, è carica di merce donata da panettieri e ortolani locali. Pane, brioches, cavoli, pomodori, arance. Incontriamo Fatima, una curdo-siriana che al primo tentativo di imbarcarsi in aereo da Izmir è stata sorpresa con i documenti falsi ed è finita in un carcere turco con le figlie. La seconda volta è riuscita a decollare da Istanbul. Niente aereo, invece, per Homam, un ragazzo siriano che ha affidato il suo destino al mare. Dal Libano in 24 ore è approdato sulla punta cipriota di Aya Napa, l’estremità più orientale dell’Europa. «Non rimarrò qui, andrò in Germania», ci confessa sulla spiaggia di Larnaca. Sul bagnasciuga ha scritto un nome, Maisam, la fidanzata che ha lasciato a Damasco.