Ciò che si fa di buono per la vita nulla mai sottrae ad altre vite
mercoledì 25 aprile 2018

Caro direttore,
anch’io sono vicino con la preghiera ai genitori di Alfie e un po’ meno a coloro che cavalcano a parole il loro dolore. Il problema è anche di sapere chi paga le spese per le cure a quel bambino. Ricevo richieste per aiutare i bambini che senza cure diventeranno ciechi, altri che muoiono di fame. Se fossi in lei mi porrei anche questa domanda. Cosa ne pensano le mamme di quei bambini e bambine e i missionari che in Paesi poverissimi di queste spese per prolungare in maniera artificiale la vita di un bambino affetto da una malattia con poche speranze di guarigione? La realtà, spesso, viene prima di quello che vorremmo. Esprimere un giudizio attraverso le pagine di un giornale è facile sarebbe molto meglio che uno scrivesse queste righe: «Oggi ho fatto un bonifico di... per curare Alfie».

Francesco Zanatta Brescia

Gentile direttore,
che assurdità: l’ospedale di Liverpool ha a lungo proibito il trasferimento di Alfie Evans perché «potenzialmente pericoloso» (cioè: capace di indurre la morte). Ma se il bimbo malato rimane lì è certamente condannato a morte! Se ne sono davvero convinti e se almeno fossero furbi medici (e giudici) inglesi, dovrebbero precipitarsi a dare il permesso di uscire così, con loro somma contentezza, Alfie morirebbe ma non per mano loro. «Quos Zeus vult perdere, dementat» (Zeus fa impazzire coloro che vuol perdere).
don Romano Nicolini Rimini

Gentile direttore

dall’Inghilterra, patria dei diritti e della democrazia, della Magna Charta Libertatum e del Bill of rights, dell’habeas corpus arrivano inquietanti segnali. E non sono affatto buoni per chi sia debole, vulnerabile, inerme proprio come il Gesù Bambino dei presepi. Per la quarta volta nel volgere di un biennio un giudice (in questo caso, tal Justin Haiden) ha condannato a morte un essere umano “inutile”. Alfie Evans, bambino di due anni afflitto da una rarissima patologia neurologica degenerativa. L’episodio è sintomatico, cioè costituisce un sintomo della malattia da cui la nostra civiltà è afflitta: ce ne rivela i contorni, in tutta la sua sfacciata purulenza. Ed è una malattia (mortale e mortifera) assai peggiore di quella da cui è afflitto il povero Alfie. Proprio per questo la sentenza di morte è “giusta”, cioè allineata allo spirito del tempo. Un bambino nelle condizioni di Alfie è sommamente «inutile» sia perché alcun contributo fattivo potrà arrecare al Pil della sua nazione sia perché, al contrario, costituirà un costo rubricabile sotto la voce di spesa-pubblica-improduttiva per il bilancio dello Stato... Inoltre, la decisione di tenerlo vivo è anche “ingiusta” perché analoghi casi sono stati decisi nello stesso modo (i bimbi irrimediabilmente malati sono stati irrimediabilmente uccisi: il che, secondo una logica giuridica tutta britannica, sta diventando un “precedente” che fa giurisprudenza). Infine, la tigna di mamma e papà è “scorretta” e “inumana” perché secondo quella logica non è più umano ciò che è umano, ma è umano ciò che piace. E piace solo ciò che produce. Un applauso al giudice inglese, dunque. E una prece per Alfie.

Francesco Carraro


Caro direttore,

proprio nel giorno in cui nasceva un nuovo erede al trono di Inghilterra, il nato di un suddito di quello stesso trono, incapace di difendersi, Alfie Evans, è stato condannato a morte perché gravemente malato, e deve ricorrere a una cittadinanza straniera, quella italiana, per sperare di concludere la sua esistenza non per decisione di medici e giudici. Fosche nubi si addensano sulla Corona inglese ...
Sergio Vicàri Roma


Gentile direttore,

l’Italia, dunque, ha conferito la cittadinanza italiana al bambino inglese che vive attaccato a un filo che la legge britannica vuole tagliare. I genitori del piccolo avevano interessato anche papa Francesco sul tema, e il Papa ha fatto e detto cose che hanno colpito. Gli ultimi sviluppi fanno pensare che evidentemente fra le due rive del Tevere ci sono stati accordi onorevoli per tutte le parti coinvolte. Fa piacere vedere che l’Italia persegue nuovamente attività per salvare le vite. È cambiato il vento finalmente...

Gian Carlo Politi

Caro direttore,
in questi giorni le notizie che ci vengono dall’Inghilterra mi colpiscono, preoccupano, addolorano. Su un lettino di ospedale, contro la volontà dei suoi genitori, si è deciso di far morire Alfie. Si staccano le macchine che lo sostengono. Si prevede che la morte, prima o poi, seguirà per soffocamento. Lo hanno stabilito responsabili medici del Servizio sanitario britannico e i giudici a cui la famiglia si è rivolta. Ma la morte non viene subito, e la straziante vicenda si fa ancora più dolorosa e complicata... Io sono d’accordo con il testamento biologico: nel nostro Parlamento, pur individuandovi alcune carenze e qualche punto di possibile modifica per me migliorativa, ho votato la legge. Nel caso di Alfie non si è di fronte a un’esperienza di testamento biologico: siamo oltre la stessa eutanasia, che io non condivido. Questo per me è omicidio di Stato. I genitori ai quali è affidata la responsabilità del bimbo, erano contrari a staccare le macchine: contro la loro volontà si è deciso di dare morte a degli innocenti. Ho apprezzato il Governo italiano: si è mosso con responsabilità, coerenza, nel segno della giustizia. Ha concesso a Alfie la cittadinanza del nostro Paese per dargli una estrema speranza di vita. Anche papa Francesco è intervenuto più volte. Tutto inutile. La macchina di morte non si è arrestata.
Resto impressionato dal fatto che gran parte dei media affronta allo stesso modo la tragedia di Alfie e la nascita del terzo figlio della coppia reale inglese. Allo stesso modo, una parte consistente dell’opinione pubblica, che si interroga sul nome che verrà dato al principino. Chiariamo subito che auguro ogni bene al piccolo principe. Lui non ha nessuna colpa dell’attenzione suscitata e della diffusa indifferenza per la sorte di Alfie. Siamo tutti noi i responsabili e occorrerà darsi una mossa, impegnarsi su questi temi, scendere in campo finché si è in tempo. Attenzione perché, anche secondo me, si sta superando il confine che segna il terreno della civiltà. È necessario affermare nelle nostre società la priorità della persona e della sua dignità, difendere e valorizzare la vita umana. Se non sorge e si realizza questa nuova etica, se non vincono questi valori, la nostra vita, quella di ognuno e prima ancora quella dei più poveri, degli emarginati,dei portatori di handicap sarà affidata alle fredde decisioni orientate non dall’amore ma dai calcoli di utilità economica, dalle risorse finanziarie da impiegare o risparmiare. E che dire del «pilatismo» della Corte europea dei diritti umani, che considera non ricevibili le richieste dei genitori dei bambini che vengono condannati a morire, mentre si occupa di tutto il resto, dimostrando così di non poter essere all’altezza delle sfide che questo nostro tempo ci impone. Vedo di fronte a noi, in un futuro che non è detto sia lontano, ma che anzi sta già compiendo passi non trascurabili, l’avvento di una società di mercato, orientata esclusivamente dalla logica della ricchezza, dell’egoismo, dell’arbitrio e dello scarto delle persone. Finché si è in tempo muoviamoci lungo un percorso che va in un’altra direzione: quella della dignità della vita, della sua tutela e valorizzazione, quella della solidarietà e fraternità.
Vannino Chiti già senatore del Pd

Grazie a tutti i lettori per le opinioni e le testimonianze che continuano a condividere con noi, mettendosi con profondità umana, civile amarezza e cristiana carità accanto al piccolo Alfie Evans, alla sua mamma e al suo papà. Grazie in particolare a Vannino Chiti per la sua acuta e allarmata riflessione, così vicina alle battaglie ideali che ci impegnano da anni. Devo però una risposta al signor Zanatta e non mi sottraggo. «Se fossi in lei mi porrei anche questa domanda...», scrive. Mi faccio tante domande, caro amico lettore, e non smetto di aggiungerne: perché non ho tutte le risposte in tasca e non ho neppure paura di cercarle e di trovarne di scomode. Per questo faccio il giornalista e, ormai da parecchi anni, lo faccio qui ad “Avvenire”. Devo però dirle con la sua stessa schiettezza che la lettera che mi ha scritto su Alfie Evans non le rende giustizia, perché lei è una persona per bene e so che vive davvero la solidarietà con i più deboli. E chi vive come lei non mette i poveri e i fragili gli uni contro gli altri, neanche per amor di polemica. E poi noi, caro amico, siamo quelli dell’“et et”, non dell’“aut aut”... Il bene fatto a qualcuno non è mai sottrazione di bene a qualcun altro. Sono certo che i nostri missionari non stanno pregando e sperando di poter usare per un piccolo malato nel Terzo mondo i soldi che ora vengono spesi per un bambino inglese. Quanto al bonifico per sostenere una piccola vita a rischio, se e quando ci sarà da farne e non per finanziare un ospedale inglese che non intende curare, ognuno di noi deciderà che cosa è giusto. Senza fanfare, proprio come di solito fa lei, unendo alla preghiera l’azione. In questi momenti difficili, tristi eppure ancora intrisi di speranza noi continuiamo nel nostro dovere: informare.

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