Chiamare le cose col loro nome (per dire bene e ben informare)
martedì 6 aprile 2021

Gentile direttore,
vorrei riportare l’attenzione sulla necessità di chiamare le cose col loro nome. Torno con la memoria a sabato 16 gennaio. Quel giorno seguivo alla radio il funerale, trasmesso dal duomo di Vicenza, del console onorario, Pierantonio Costa, che, come anche “Avvenire” ha ricordato, salvò quasi duemila persone, molti i bambini, dall’eccidio del Ruanda. «Ho solo risposto alla voce della mia coscienza. Quando bisogna fare qualcosa, semplicemente lo si fa». Con queste essenziali parole egli riconduceva il suo operato alla responsabilità di non sottrarsi al bene che in quella situazione semplicemente andava fatto. Il console Costa «con le sue scelte coraggiose – ha ricordato quel giorno il vescovo Beniamino Pizziol – ha scritto la normalità del bene da semplice e autentico essere umano». Una testimonianza in stridente contrasto con il dilagare proprio allora nei media del termine “responsabili”, poi frettolosamente sostituito con “costruttori” e “volenterosi”, altrettanto fuori luogo. Ora che un altro governo e un’altra, vastissima, coalizione parlamentare hanno preso forma, vorrei ribadire che “responsabilità” è una parola troppo seria per lasciarla alla retorica dei salotti tv e alla demagogia. Meno male che, proprio su “Avvenire”, in quei frangenti sono comparsi un bel commento di Marco Iasevoli e un’approfondita analisi di Mauro Magatti. È fondamentale il ruolo di una corretta informazione per la fragile vita democratica: occuparsi dei fatti e raccontarli senza ambiguità, usando con precisione le parole, a maggior ragione quelle relative ad aspetti istituzionali. Mi stupisce, per esempio, che fior di politici e giornalisti confondano popolarità (peraltro ormai degradata a designare l’indice di gradimento nei sondaggi) col consenso. Assecondare l’uso distorto delle parole genera confusione, giudizi approssimati, e si finisce per travisare i fatti. Chiamare col loro nome le cose, dire bene le cose porta ad agire bene. Ma forse è proprio dall’incontro con la realtà, dal mescolarsi col vissuto delle persone, dalla fatica di tirare la carretta che scaturiscono parole sobrie e chiare, quanto meno percepite come autentiche. Speriamo di ascoltarne ancora...

Caterina Pozzato Sandrigo (Vi)

E noi, gentile e cara amica lettrice, speriamo sempre di trovare e di saper scrivere le parole sobrie e chiare e autentiche che lei giustamente e civilmente reclama. Grazie per la sua acuta attenzione e per questa riflessione allarmata eppure così pacata e bella.

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