Nelle conclusioni dell’analisi in cui argomenta la richiesta dell’avvio di una procedura di infrazione per debito eccessivo contro l’Italia, la Commissione europea ci ricorda che i 65 miliardi di euro che abbiamo speso nel 2018 per pagare gli interessi sul nostro debito pubblico corrispondono più o meno alla spesa che sosteniamo ogni anno per fare funzionare le scuole, gli asili e le università. È un confronto duro e utile, perché aiuta a capire che cos’è davvero il debito pubblico: è un costo che impegna una buona parte delle nostre risorse, precisamente il 3,7% del Prodotto interno lordo. Soldi che potremmo usare per preparare meglio i nostri figli per il loro futuro e che invece stiamo usando per garantire la rendita dovuta ai nostri creditori (interni ed esterni, grandi e piccoli). Basterebbe questo per constatare che non c’è nulla da festeggiare quando i nostri governi approvano progetti di bilanci pubblici in deficit e che non ci dovrebbe essere motivo di orgoglio nazionalista nello sfidare il rigore contabile fissato nei Trattati europei. I limiti previsti per il deficit e il debito pubblico dei Paesi della Ue sono arbitrari e discutibili. L’idea che c’è dietro quei "paletti", però, è difficile da contestare: è il principio secondo il quale un bilancio pubblico equilibrato è importante per il benessere di un Paese e un basso indebitamento consente a chi lo governa una quantità di risorse sufficiente a fare quello che ritiene buono per la popolazione. Ad esempio aiutare i giovani a trovare un lavoro e costruire una famiglia, permettere agli anziani di andare in pensione a un’età decente, aumentare il reddito di tutti tagliando le tasse.
Tutti interventi che l’attuale Governo italiano vorrebbe fare, ma riesce a completare solo in minima parte, perché i soldi che ha a disposizione sono oggettivamente pochi. Non per colpa dell’Europa, ma per colpa di scelte (e non scelte) politiche, soprattutto dagli anni Ottanta in avanti, che non hanno mantenuto sotto controllo i nostri bilanci e hanno finito per fare dell’Italia uno degli Stati più indebitati e stagnanti del mondo. Scelte di Governi e Parlamenti, di partiti e di gruppi di interesse che hanno impegnato la spesa pubblica dei decenni a venire, costringendoci adesso a usare per gli interessi sul debito soldi che potremmo certamente usare per scopi migliori.
Purtroppo, a quanto pare, l’attuale Governo e tanti concittadini non hanno intenzione di guardare con realismo a quegli errori del passato. Altrimenti non sarebbe così popolare l’idea di far chiedere allo Stato altri soldi in prestito e poi spartirceli in vario modo tramite discutibili misure previdenziali e fiscali. Ma indebitare la Repubblica per trasferire il denaro ai suoi abitanti è qualcosa che l’Italia fa da tempo. I numeri della Banca d’Italia mostrano che tra il 1995 e il 2017 la ricchezza finanziaria netta delle famiglie è aumentata del 144% mentre il debito pubblico è salito del 108%. Debito pubblico e ricchezza privata in Italia da decenni crescono assieme, la seconda più del primo. Peccato non si possa dire lo stesso del Pil, che nel frattempo è aumentato solo del 78%. E del Welfare statale che (mentre si fa di tutto per svalorizzare quello sussidiario) continua a dimagrire.
Ma stiamo al Pil. Non è un caso se il nostro povero Pil – anche quest’anno tra i più fiacchi del mondo – non riesce a tenere il passo. Avrebbe bisogno di aiuto, cioè di riforme e investimenti (anche sforando i 'tetti'). Invece, anche la Manovra 2019 ha ridotto di 2 miliardi la spesa pubblica in conto capitale (quella, appunto, per gli investimenti) e aumentato, di 9,7 miliardi le uscite correnti (quelle per misure anche utili, ma improduttive). Lo ha fatto in deficit, cioè il governo ha di nuovo indebitato lo Stato principalmente per arricchire pezzi di cittadinanza (nella speranza, naturalmente implicita e non sempre fondata, che la gente se lo ricordi al prossimo appuntamento elettorale). Speriamo che se lo ricordino anche gli italiani oggi troppo giovani per andare a votare quando, fra qualche anno, si accorgeranno di come indebitandoli abbiamo ridotto la loro libertà (già i millennials qualche sospetto ce l’hanno, quando fanno caso alla sproporzione tra le loro condizioni di vita e quelle della generazione dei genitori). Nel frattempo possiamo prendercela con l’Europa e trattare i commissari come vecchi maestri incattiviti e pedanti che non capiscono i bisogni del popolo e ci scocciano con i loro richiami a spendere bene le poche risorse che abbiamo. Possiamo anche vincerla questa battaglia contro i grilli parlanti di una Commissione europea logora perché al termine del suo mandato. Prima di andare a combatterla dovremmo però chiederci seriamente se in questo caso i governanti che stanno davvero dalla nostra parte sono più numerosi a Roma o a Bruxelles.