mercoledì 12 settembre 2012
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​Caro direttore, Vito Mancuso, in un polemico articolo su "Repubblica"di domenica scorsa dal titolo «L’operazione anestesia sul cardinal Martini», si scatena a descrivere la Chiesa come un luogo di potere in cui tutto è lecito per fare carriera e propone come terapia quella che il filosofo definisce una libertà di pensiero che viene prima della fede e che attribuisce al cardinal Martini. Liberissimo Mancuso di praticare le terapie che ritiene più efficaci e persino di gettare fango e discredito sulla Chiesa! Ma il fatto che usi il cardinal Martini per legittimare propri punti di vista denuncia una grave incapacità ad amare il vero (tanto che affermare l’opinione della propria fazione diventa l’unica cosa che conta). Quell’articolo non parla di Carlo Maria Martini, ma è una proiezione delle opinioni di Mancuso sulla Chiesa. Il cardinal Martini, che non può rispondere, viene strumentalizzato per uno scopo che non c’entra nulla con quanto lui ha testimoniato in vita e ora vede faccia a faccia. Infatti, Martini, che pure sentiva la incoerenza ideale da cui siamo toccati, una proposta l’ha sempre fatta e non è il dualismo tra fede e ragione che propone Mancuso. Il cardinal Martini ha sempre proposto di ripartire da Dio, dalla sua presenza reale, Cristo che vive dentro la Chiesa. Come ha detto in modo efficace nella presentazione della Lettera Pastorale 1995-96: «Ma ripartire come? E da dove? Qui la Tua essenzialità, o Signore, mi grida: mi sono spogliato di tutto, ho lasciato perdere tutto, per mostrare solo il Padre, il Suo amore per voi. Sì, ne sono certo: da Dio occorre ripartire, dall’Essenziale, da ciò che unicamente conta, da ciò che dà a tutto essere e senso». Questo è il cardinal Martini. E di fronte a questo uomo che si è consumato per il Signore bisognerebbe lasciar da parte ogni approccio ideologico per stare davanti a lui e riconoscere il vero che ci comunica oggi.
Gianni Mereghetti, Abbiategrasso (Mi)
No, caro professor Mereghetti, non riesco a pensare a Vito Mancuso come un intellettuale disonesto, cioè «incapace di amare il vero». Penso piuttosto che – come altri, anche di radicalmente opposto parere – vorrebbe che il cardinal Carlo Maria Martini facesse adesso (proprio adesso che «vede faccia a faccia» l’Amore, la Parola e la fonte di ogni Carità) quel che non fece in vita e nei ventidue anni e mezzo da Arcivescovo di Milano, ovvero l’anti–papa. Per questo Mancuso si comporta e scrive di Martini come se di Martini sapesse più dei preti che Martini ha ordinato, più dei confratelli gesuiti del grande biblista e cardinale, più dei suoi successori sulla cattedra di Ambrogio, più di almeno due Papi. E ovviamente sa di bioetica, Mancuso, più dei “pericolosi” filosofi del diritto che scrivono su questo giornale. Difficile, però, addirittura impossibile che Mancuso possa pretendere di saperne più di Martini stesso.Proprio per questo alla sua splendida citazione, caro Mereghetti, ne aggiungo una assai recente e – a differenza di altre che vanno per la maggiore – pienamente e, direi, martinianamente argomentata: «Tutto si compagina in unità, nella realtà della Chiesa, che ha un aspetto interiore e anche un aspetto esteriore, e quindi comprende anche strutture, regole, strumenti di organizzazione. L’importante è che anche queste realtà siano per quel che è possibile espressioni di vita interiore. E poi, occorre anche distinguere le cose importanti e quelle che non lo sono. Credo che la Chiesa abbia già fatto un’opera di purificazione da tante cose esteriori che non servivano. E comunque, quando ancora leggo sui giornali che io sarei il “capo dei progressisti”, ormai ci rido sopra» (dall’intervista concessa a Gianni Valente del mensile “30 Giorni”, gennaio 2010).Già, caro amico. Forse Mancuso ha un bellissimo senso della libertà, ma non quello più umile della misura al cospetto dell’Essenziale. Martini aveva l’uno e l’altro. Io cristianamente lo ammiro. E – da cronista – annoto che questo è il problema. Di Mancuso.
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