Caso Charlie: misurarsi coi fatti
venerdì 7 luglio 2017

In queste ore, l’accesa concitazione del dibattito pubblico non solo sfavorisce il dovuto clima di discrezione e rispetto verso tutti i soggetti – in primis i genitori – che stanno adoperandosi per trovare un buon esito, una uscita di sicurezza dalla drammatica e intricata vicenda umana del piccolo Charlie, ma genera nei non addetti ai lavori, i cittadini comuni, debolezza di conoscenza della realtà e confusione di idee, premesse per il moltiplicarsi di opinioni irragionevoli e giudizi non pesati. Nel tentativo di dipanare la matassa perché il filo del discorso si distenda e si sciolgano i nodi più cruciali delle argomentazioni, è necessario considerare alcuni elementi di fatto e di diritto.

La malattia di Charlie Gard è una forma grave delle sindromi da deplezione del Dna mitocondriale, dovuta a un difetto (mutazione) nel gene RRM2B che codifica per la subunità R2 dell’enzima ribonucleotide reduttasi, una proteina necessaria per la sintesi dei nucleosidi attivati, i "mattoni" con cui viene costruito il Dna. È un difetto congenito che colpisce gli organelli del nostro corpo – i mitocondri – deputati alla respirazione cellulare e alla produzione della maggior parte dell’energia necessaria per vivere. Gli effetti patogenetici sul bambino sono dovuti all’accumulo anomalo di molecole endogene, chiamate "metaboliti", tra i quali l’acido lattico e altri acidi organici e le "specie reattive all’ossigeno" (i cosiddetti ROS), che provocano ingenti danni biochimici alle cellule, in particolare quelle del sistema nervoso centrale e periferico, del cuore, del muscolo scheletrico, del fegato e del rene.
Il danno è progressivo e incide particolarmente nei primi mesi di sviluppo. Il quadro clinico evolve rapidamente: per questo un conto è parlare delle condizioni di Charlie quando aveva uno o pochi mesi e di quanto si sarebbe potuto tentare terapeuticamente allora (in via sperimentale), altro è considerare quale terapia sia eventualmente appropriata ora, considerato il peggioramento del quadro clinico (fermo restando l’obbligo dei "supporti vitali" e di cura del bambino). Un protocollo che era clinicamente ragionevole applicare mesi fa (e che non fu attuato) può non esserlo oggi, e l’assistenza sanitaria attualmente ora più indicata richiede la formulazione di un nuovo protocollo clinico, cui stanno lavorando ricercatori e medici del Bambino Gesù. Una cosa è giudicare a posteriori della decisione dei medici del Great Ormond Street Hospital di Londra di non far accedere Charlie alla terapia di bypass nucleosidico in fase di sperimentazione clinica negli Usa quando il danno da metaboliti tossici (in particolare cerebrale) era ancora limitato, un’altra cosa è valutare a priori cosa sia realisticamente possibile attuare in questo momento per il bene del bambino.

Anche sul piano giuridico è opportuna qualche precisazione. A quanto è noto, dapprima l’ospedale pediatrico londinese ha espresso parere sfavorevole al passaggio di Charlie ad altro nosocomio (negli Usa o a Roma) adducendo una ragione sanitaria: le condizioni cliniche del bambino non consentirebbero un suo trasporto in sicurezza. Sullo stato clinico di un paziente e sulla sua dislocazione in altra struttura sanitaria possono esprimersi solo i medici che lo hanno in osservazione, ma sarebbe desiderabile trasparenza, ovvero che rendessero disponibili i parametri fisiopatologici del bambino critici per il suo trasporto a confronto con le tecnologie mobili di supporto intensivologico oggi collocabili sugli aerei-ambulanza ed il personale sanitario specializzato disponibile alla mobilità per accompagnare il bambino.

Più recentemente, la direzione del Great Ormond Street Hospital ha però opposto un diniego alle dimissioni di Charlie che si appella a una ragione giuridica: le sentenze delle Corti britanniche che acconsentono alla sospensione della ventilazione e degli altri "sostegni vitali" richiesta dai medici dovrebbero comunque essere rispettate. In realtà, trattandosi di un contenzioso tra due parti (i genitori di Charlie e i medici curanti), e non di un intervento per iniziativa propria del potere esecutivo o giudiziale del Regno Unito sulla base di una norma giuridica vincolante, se una delle due parti acconsente a recedere dalla propria istanza non vi è obbligo di dare esecuzione alla sentenza: le Corti hanno autorizzato la sospensione delle cure, non la hanno imposta irrevocabilmente.

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